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Home > Economia > UN TRC VI SEPPELLIRÀ

C’era una volta un’Italia che guardava al futuro con fiducia. Che vedeva ogni nuova costruzione, ogni opera pubblica e privata, come un altro passo verso quel futuro migliore.  In quei tempi ormai lontani si metteva il Tricolore su ogni cantiere, pubblico e privato, segno orgoglioso di un’altra battaglia vinta.

Oggi il ponte del Trc sul Rio Melo che scavalca il porto di Riccione è l’immagine plastica di una gigantesca sconfitta. Una Caporetto per un’intera classe politica e per una buona parte dei cittadini che l’hanno espressa. Sotto quel ponte restano sepolti anni e anni di malafede, incompetenza, ipocrisia, piccoli interessi privati elevati a ideologia.

C’è dunque un progetto di trasporto pubblico moderno. Nasce addirittura alla fine degli anni’60, con un piano regolatore di Rimini affidato a un giovane brillante architetto, Giancarlo De Carlo. Fiore all’occhiello di quel progetto è la monorotaia, o “minirail”. La monorotaia – “faremo come in Giappone, come nel nord Europa!” – viene sbandierata come simbolo di una riviera che vede e risolve in anticipo tutti i problemi che lo sviluppo comporta. Che pensa all’ambiente, quando se ne parla solo in ristretti circoli per lo più bollati come visionari. Che guarda in avanti, provando a determinare il futuro e non a subirlo. Si provvede al mare dandosi per primi i depuratori. Si provvede al traffico con un trasporto pubblico moderno.

E’ in embrione l’idea del Trc. Se non che, già allora si annidano tutti i germi dei futuri fallimenti. La monorotaia di De Carlo, infatti, resta a far da squillante copertina a tutt’altra operazione: un piano regolatore, appunto, che pur adottato nel 1972 scatenerà un mare di polemiche e sarà poi attuato solo in parte. Quel che è peggio, nessuno crede seriamente che la monorotaia sarà mai fatta, come ammetteranno poi candidamente i pubblici amministratori di allora.

Passano gli anni, l’idea di percorrere quegli 11 chilometri fra Rimini e Riccione in modo “moderno” continua a serpeggiare. Anche perché ormai la sensibilità ambientale – siamo negli anni ’80 – sta diventando patrimonio comune. Rimini non è ancora Provincia, però è nato un surrogato detto “Circondario”. E’ in questi uffici che nasce l’idea base del Trasporto Rapido Costiero, o TRC, o metrò di costa. Niente più sopraelevate, ma una semplice corsia preferenziale lungo la linea ferroviaria.

Semplice? Oggi sappiamo quanto. Sembrava semplice e ovvio migliorare il trasporto pubblico in una riviera che vive di turismo, quindi di qualità della vita e non di ingorghi stradali, di servizi pubblici efficienti e non di carovane mediorientali. Sembrava.

Il trasporto pubblico era un dogma della sinistra e degli ambientalisti? Il Trc sarà bollato come “ecomostro”. E proprio dagli stessi ambientalisti più intransigenti e da quella stessa sinistra “più a sinistra”, quella che voleva costringere la Fiat a costruire autobus per il popolo invece che auto per i piccoli borghesi. Le barriere anti-rumore che lo dovrebbero fiancheggiare, provando ad attutire la colonna sonora di 113 treni al dì della tratta Bologna-Ancona che allieta vacanzieri e residenti, diventano un “Muro di Berlino”. Le opere di riqualificazione urbana che dovrebbero cambiare volto al retrobottega della riviera, quello appunto attraversato dalla ferrovia – una impressionante collezione di brutture per lo più abusive – diventano soprusi intollerabili.

Queste prime opposizioni nascono a Rimini, dove il Trc comporterà espropri e anche qualche demolizione. Ma restano minoritarie e le liste elettorali che scaturiscono dai comitati contro il Trc fanno tutto sommato poca strada.

E a Riccione? Tutto tace oltre il Marano. Nella Perla Verde i candidati a sindaco della sinistra mettono il Trc nel programma elettorale, vengono eletti senza patemi, firmano gli atti, prendono gli impegni di spesa. E si dimentica tutto nei cassetti. Con stessa convinzione di vent’anni prima, espressa con medesimi occhiolini e sorrisetti: quella roba lì “che viene da Rimini”, tanto non si farà mai. E poi a Riccione nemmeno sono previsti espropri a privati: gli unici a rischiare le penne sono dei filari di pini, peraltro fonte inesauribile di grane, fra lamentele dei residenti per la “sporcizia” che generano e le continue manutenzioni cui si è costretti dalla fragilità dei loro rami di conifere. Perché proprio qui dovrebbero esserci intoppi, quando a Rimini si demoliscono delle case intere?

E invece, proprio a Riccione l’opposizione al Trc diventa una forza politica rilevante. Non rileva che tale opposizione arrivi largamente fuori tempo massimo per discutere sul sì o no all’opera. E nemmeno che però si sarebbe ancora in tempo per migliorarla. Il No al Trc senza se e senza ma, sebbene del tutto campato per aria, vince addirittura le elezioni.

A forza di “non si farà mai”, si arriva a oggi. Chi a Rimini si opponeva al Trc, oggi siede in Giunta accanto a chi lo ha fortemente voluto. Chi a Riccione ha issato il vessillo contro la prepotenza riminese, sta per ritrovarsi a tagliare il nastro dell’opera. Oltre a dover pagare i danni per la sua battaglia contro i mulini a vento: o meglio, a farli pagare ai suoi cittadini.

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