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Stefano Medas, da Riccione alla ricerca delle infinite arche perdute

Quanti tesori nasconde il mare? Certo, quelli della natura. Ma quanti preziosi reperti storici non sono stati ancora scoperti? Infiniti. Come è infiniti sono gli oceani che ricoprono il 71% del globo terrestre.

Sappiamo molto della nostra storia grazie agli scavi degli archeologi, a cominciare dalle città mesopotamiche e dalle piramidi egiziane. Ma ci sono anche quelli che invece usare di paletta e setaccio indossano la tuta da sub. Perché riposano in fondo al mare ci sono imbarcazioni affondate in tutte le epoche, edifici sommersi, un assortimento incredibile di reperti, dagli oggetti comuni a capolavori dell’arte. E solo da tempi relativamente recenti, circa un secolo, l’uomo ha iniziato davvero a esplorare gli abissi, mentre le prime maschere scuba davvero efficienti non sono comparse prima del 1930.

Per poter ammirare e studiare l’immenso patrimonio ancora ignoto, è necessario che qualcuno vada a recuperarlo; proprio come sta facendo ormai da diversi anni il riccionese Stefano Medas, archeologo subacqueo e navale.

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Stefano Medas

Medas, che ha all’attivo un’importante carriera scientifica e professionale, ha da poco debuttato nel panorama letterario con Rex Iuba (edito da Mondadori), romanzo storico dedicato alla straordinaria spedizione organizzata dal re di Mauretania Giuba II, all’epoca dell’imperatore romano Augusto, per andare alla ricerca delle mitiche Isole Fortunate, le attuali Canarie. Il libro verrà presentato domani 5 febbraio, alle ore 21.00, presso Villa Mussolini a Riccione dal celebre archeologo e scrittore Valerio Massimo Manfredi e dallo scrittore riccionese Rodolfo Francesconi.

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Medas, che cos’è esattamente l’archeologia subacquea?

«L’archeologia subacquea è un’applicazione dell’archeologia di superficie. Utilizza gli stessi princìpi, a partire dal metodo di scavo stratigrafico, ma si avvale, ovviamente, di mezzi diversi, funzionali all’ambiente in cui si opera».

Quando è nata questa sua passione?

«Da bambino, avrò avuto sei o sette anni. In famiglia non ci sono archeologi, ma i miei genitori mi hanno sempre sostenuto, permettendomi di coltivare questa passione, dunque di affrontare un percorso di studi specifico e di favorirmi in ogni altro modo, per esempio portandomi a visitare scavi e musei. Anche gli zii hanno fatto la loro parte. Inoltre, come spesso accade nella vita di ciascuno di noi, è stato importante l’incontro casuale con una persona, un professore di chimica appassionato di archeologia, amico di famiglia».

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Secondo lei, quanti tesori nasconde il mare?

«Il mare è uno scrigno di tesori. Basti considerare che in ogni epoca storica e fino a tempi relativamente recenti, potremmo dire fino dell’avvento della ferrovia, i trasporti su media e lunga distanza erano effettuati quasi interamente via mare e attraverso le acque interne come lagune, fiumi, canali e laghi. Per limitarci solo ai relitti di navi e all’Adriatico, abbiamo testimonianze che vanno dalla protostoria ai nostri giorni. Solo per l’età romana, nel periodo compreso tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C., in Adriatico sono noti almeno sessanta relitti. Allargando il panorama ad una visione diacronica completa, ecco dunque le dimensioni: migliaia di relitti, oltre a strutture portuali, strutture costiere di diverso tipo e reperti isolati».

In quali punti sono stati trovati piu reperti archeologici? Sulla nostra riviera adriatica sono avvenuti molti ritrovamenti?

«La quantità dei rinvenimenti dipende molto dal contesto ambientale. Ci sono zone dove è più probabile e più facile scoprire dei reperti e zone dove risulta più difficile. Le nostre coste rientrano tra queste ultime. Andranno inclusi anche dei territori che oggi si trovano in terraferma, ma che anticamente erano occupati dal mare, come accade per la zona del delta padano, dove il continuo apporto di sedimenti fluviali ha generato e continua a generare l’avanzamento della linea di costa. I relitti più importanti nella nostra zona (Alto Adriatico italiano n.d.r), sono quelli romani rinvenuti a Palombina Vecchia-Ancona, a Ravenna, a Comacchio, al largo di Caorle e di Grado, nel fiume Stella e a Monfalcone, senza dimenticare la famosa statua bronzea recuperata molti anni fa al largo di Fano e attribuita allo scultore greco Lisippo. A questi si aggiungono numerosi altri relitti di epoca medievale, moderna e contemporanea».

Perché ha deciso di scrivere un romanzo?

«Perché trovo che quella di Giuba II, re della Mauretania all’epoca di Augusto, sia una storia straordinaria e che ancor più straordinaria sia la spedizione navale che organizzò per andare in cerca delle mitiche Isole Fortunate, le nostre Canarie. Una vera e propria avventura nell’oceano Atlantico, eccezionale dal punto di vista nautico, perfetta per parlare di navi, marinai e navigazione, i temi che prediligo e su cui lavoro da molti anni. Una storia che ci pone di fronte al rapporto dell’uomo antico con l’ignoto, coi misteri e le paure che nasconde, in una dimensione interiore incredibilmente moderna. Inoltre, essendo abituato a scrivere per la comunità scientifica, pubblicando cioè libri e articoli per gli specialisti, desideravo da tempo confrontarmi con un pubblico più ampio, quindi attraverso un romanzo storico, basato su una vicenda reale documentata dalle fonti; anche dove interviene la fantasia, il contesto e i personaggi sono sempre ricostruiti su basi storiche e archeologiche, per offrire al lettore una finestra reale sulla vita del tempo».

Secondo lei, in Italia c’è abbastanza cultura del mare e di tutto ciò che custodisce?

«In quanto a cultura del mare, nel senso più ampio del termine, credo ci sia ancora molto da fare. A cominciare dalla conoscenza e valorizzazione di quella tradizione marinaresca, scomparsa solo di recente, ultima testimone di molti secoli della nostra storia e di un modo diverso di intendere il mare, di un’intesa profonda tra l’uomo e gli elementi. Ecco, credo che la cultura del mare necessiti in grande misura proprio di questo: ristabilire un rapporto diretto con gli elementi, cosa che nessuna tecnologia potrà mai offrirci».

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Quali sono i suoi prossimi progetti?

«Lavori archeologici, il mio mestiere, oltre ad un nuovo romanzo che sto per terminare, stavolta dedicato al tormentato viaggio che condusse San Paolo da Cesarea in Palestina, a Roma, all’epoca di Nerone».

Nicola Lucarelli

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