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Solo pietà per Darya, solo orrore per la pazzia della guerra

Un piccolo sussulto l’ho avuto anche io, passando davanti al tabellone dei necrologi in via Guerrazzi: in mezzo ai manifestini dedicati a riminesi noti solo ai loro cari e agli amici, ne campeggiava uno sintonizzato sulla più cupa attualità internazionale. La defunta era Darya Dugina, la giovane filosofa figlia dell’ideologo nazionalista russo Aleksandr Dugin, uccisa a Mosca in un attentato dai tanti lati ancora misteriosi. Ma «le amiche e amici della Russia» che hanno commissionato il necrologio e organizzato una messa in ricordo della Dugina non hanno dubbi: la matrice dell’assassinio è l’«odio anti-russo».

Viene così così implicitamente avallata la versione ufficiale confezionata in ventiquattr’ore dagli inquirenti russi, che indicano come responsabile dell’omicidio Natalya Vovk, una militare ucraina già fuggita in Estonia. Basterebbe un’occhiata ai giornali per sapere che questa tesi non è del tutto convincente. Alle autorità moscovite sono bastate poche ore per identificare e smascherare una soldata nemica che avrebbero potuto neutralizzare molto prima, visto che a quanto pare circolava in territorio russo già da venti giorni e comunque è riuscita a espatriare indisturbata.

Qualcuno poi ha anche notato che il viso della morta, esposta al funerale in una bara aperta, era stranamente intatto e non sembrava certo quello di una donna saltata in aria su un’auto carica di esplosivo e sbalzata a diversi metri di distanza. Al di là delle inevitabili dietrologie, che la povera Darya sia stata assassinata dall’odio è fuori di dubbio, che c’entri il clima avvelenato dalla guerra russo-ucraina, sostenuta pubblicamente sia da lei che da suo padre, è plausibile, ma per noi, che almeno per ora non siamo governati dal «miglior uomo di governo esistente sulla terra», come Salvini definiva Putin, è ancora presto per appiccicare su quell’odio l’etichetta e la provenienza che più fanno comodo al Cremlino.

Eppure Davide Gasperini, il capofila degli «amici della Russia» ci teneva molto a quell’etichetta. Quando il parroco di Santa Chiara, la chiesa dove oggi si svolge la commemorazione, gli ha chiesto di eliminare dal necrologio l’«anti-russo» per evitare critiche e polemiche, Gasperini ha opposto un rifiuto. «Vogliamo esprimere in modo pacifico come la pensiamo senza per questo essere accusati di essere “fascisti”», ha detto al Corriere di Rimini.

Ma prego, per carità. Però forse il libero pensiero si potrebbe esprimere meglio in altre sedi che non un necrologio e una messa di suffragio. In chiesa un cristiano dovrebbe seguire l’esempio del papa, che insieme alla solidarietà al popolo ucraino ha espresso il suo dolore per la morte crudele di «una povera ragazza volata via per una bomba sotto il sedile della sua macchina», senza condannare altro se non «la pazzia della guerra», parole tanto caute quanto vere.

Spero che anche chi, come me, vede negli ucraini un popolo aggredito e martoriato ogni giorno, non sia così pazzo da non riuscire più a provare nemmeno un po’ di pietà anche per una donna russa di nemmeno trent’anni, barbaramente trucidata per mandare un messaggio a qualcuno o per punire qualcun altro. A prescindere dalla nazionalità di chi ha messo quella bomba sotto il suo sedile.

Lia Celi

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