Cerca
Home > Cultura e Spettacoli > Sigismondo e Filelfo, vittime dello stesso Papa

Sigismondo e Filelfo, vittime dello stesso Papa

Romagna arte e storia, la rivista quadrimestrale di cultura, ha dedicato buona parte del suo numero 106 a Sigismondo Pandolfo Malatesta e alla sua epoca. Del signore di Rimini, nato il 19 giugno 1417, si sta celebrando il seicentesimo “compleanno”. La pubblicazione edita da Panozzo,pubblica ben tre articoli che hanno attinenza più o meno diretta con il grande personaggio. Il primo è “San Marino, Malatesti e Montefeltro tra autonomie e papato”, di Cristoforo Buscarini, che ha passato in rassegna i carteggi della Comunità sammarinese fra il 1410 e il 1482. C’è poi Oreste Delucca, che risponde alla domanda “A Rimini si mangiava la piada nel Quattrocento e nel Cinquecento?”.

Ma la ricerca forse più utile per comprendere le vicissitudini del Malatesta – e della sua fama nei secoli- , è quello del direttore della rivista, Ferruccio Farina: “Un papa per nemico. Sigismondo Malatesta, Francesco Filelfo e Pio II tra elogi e invettive”. Utile e interessante, perché si pubblicano ed esaminano lettere e testi, in gran parte ignoti, che l’umanista di Tolentino scrisse allo stesso Sigismondo, oppure che a lui fanno riferimento.

Ma per comprendere quell’utilità e quell’interesse, è necessario ricordare chi fu Francesco Filelfo.

Francesco Filelfo in una stampa di Paolo Giovio (1577)

Francesco Filelfo in una stampa di Paolo Giovio (1577)

Nasce il 25 luglio 1398 nella Tolentino dei da Varano, i signori di Camerino. Compiuti gli studi a Padova, ad appena 19 anni ottiene già la cattedra di oratoria e filosofia morale a Venezia. Non solo: la Serenissima gli affida un ruolo di fondamentale importanza: segretario del massimo rappresentante dei Veneziani (il bailo) a Costantinopoli. Resta ben sette anni della capitale del morente impero romano “bizantino”, ormai stretto da ogni lato dai Turchi ottomani. Apprende quindi perfettamente il greco moderno (un po’ meno quello antico, ma in misura largamente superiore ai contemporanei), che aggiunge alla sua ottima padronanza del latino classico. Al suo ritorno in Italia è uno degli intellettuali più in vista del suo tempo: instancabile collezionista, dotto docente e segretario di principi a Venezia, Milano, Firenze, Siena. Scrivono di lui: “Fu uomo di grande vigoria fisica, con un’inesauribile energia intellettuale, un uomo dalle violente passioni e dai molti desideri; una persona orgogliosa, irrequieta, avida di soldi e gloria, incapace di fermarsi in una sede e sempre impegnato in querelle con i dotti del tempo”.  E fu maestro del futuro pontefice, da cui sperava l’affermazione definitiva. E da cui invece ricevette solo amarezze e delusioni.

Già si profilano, dunque, diverse analogie con Sigismondo. I due si conosceranno e si apprezzeranno a vicenda, fino a ritrovarsi di fronte lo stesso nemico. Un nemico così potente da causare la rovina di tutti e due: papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini. Il pontefice prevarrà al punto di imprimere il suo marchio anche sulla fama dei suoi avversari nei secoli a venire: un Sigismondo traditore, perverso, eretico; e un Filelfo ingordo di piaceri, opportunista, vile.

Pio II, il papa “umanista”, con i medesimi interessi e passioni che animavano il condottiero riminese e il dotto marchigiano. E allora perché tanto astio? Solo oggettive motivazioni politiche? Filelfo, in una delle sue invettive, individua un altro motivo: l’invidia. Il Piccolomini, che si sente letterato anche lui, non sopporta chi di lui sa fare meglio.

Papa Pio II

Papa Pio II

I fatti forse più curiosi individuati da Farina sono alcune annotazioni poste a margine della splendida Divina Commedia miniata appartenuta a Sigismondo. Qualcuno – ma non certamente il Malatesta, che all’epoca si trovava a combattere in Grecia – vi ha ricopiato i versi che Filelfo ha scritto per plaudire alla morte del papa. Mentre un’altra mano, probabilmente più tarda, ha trascritto anche quelli diffusi dall’entourage dei Piccolomini in risposta al feroce epigramma del tolentinese.

Ma cosa aveva scritto Filelfo? «Il primo attacco – osserva Farina – lo sferra con due micidiali epigrammi, che qui si riportano in una libera traduzione, composti in contemporanea alla morte del papa avvenuta il 14 agosto 1464, ad Ancona, mentre attendeva le truppe delle potenze cristiane per dare inizio alla sua crociata. Il primo, Gratulatio de morte Pii II Ecclesiae Romanae pontificis, è una vera esplosione di gioia per il provvidenziale intervento divino che “ha tolto di mezzo Pio”»:

Gioisca l’oratore, gioite Muse latine,
Che Dio stesso ci ha tolto di mezzo Pio,
Cosicché, giustamente, Dio venne in soccorso a tutti i dotti
Su cui Pio sempre si scagliava opprimente!
Ma ora possiamo forse sperare: oh, ottimo Dio,
Ridonaci Niccolò quinto o il padre Eugenio.

(Gaudeat orator, Musae gaudete latinae, | Sustulit e medio quod Deus
ipse Pium, | Ut bene consuluit doctis Deus omnibus aeque, | Quos Pius in cun-
ctos se tulit usque gravem! | Nunc sperare licet: nobis, Deus optime, Quintum |
Reddito Nicoleon, Eugeniumque patrem)

«Con il secondo, Eulogium in Pium II Ecclesiae Romanae Pontificem, declama i maggiori peccati di quel papa dall’anima nera, la sua mancanza di pietà, la sua presunzione d’essere poeta e l’invidia verso i letterati»:

Nessun altro fu più ingrato di lui
Per giunta lui senza pietà che volle essere chiamato Pio.
E’ chiuso col corpo in quest’arca che costruì per sè da vivo
Infatti la sua anima nera abita le paludi dello Stige.
Poiché voleva essere considerato dotto e poeta
Era nemico di tutti i poeti e di tutti i dotti.
Voi che siete insigni per parola e voi giovani dedicati alle muse
Sciogliete i voti agli dei che portarono via Pio.

La tomba di Pio II a Sant'Andrea della Valle, Roma

La tomba di Pio II a Sant’Andrea della Valle, Roma

«Due spietate invettive che, oltre ad essere atti d’accusa dettati dal risentimento personale, rappresentano anche un manifesto politico rivolto ai cardinali chiamati ad eleggere il successore di Pio II: il nuovo pontefice potrà esser grande come i suoi predecessori solo se, come loro, sosterrà i dotti e i poeti. Un messaggio forte che Francesco non si limita a far pervenire ai prelati in conclave ma diffonde anche presso i potentati italiani dove dispone di corrispondenti e di amici. Rimini, naturalmente, è tra questi. Ed ecco, in una sorta di nemesi, che la seconda invettiva contro il papa persecutore raggiunge il suo più celebre perseguitato: Sigismondo Malatesta. Al contropiatto posteriore della Commedia dantesca della sua biblioteca compare infatti la trascrizione in bella calligrafia della Gratulatio de morte Pii Il Ecclesia Romana Pontificis di Filelfo.Annotazione, questa, che ha diverse valenze e pone diversi interrogativi».

Il principale di questi interrogativi riguarda proprio quella poco encomiabile reputazione che per tanto tempo ha gravato sui due personaggi. E che solo in tempi recenti è stata, almeno in parte, sfatata, documenti alla mano.

Per esempio, l’opportunista Filelfo, che interesse immediato poteva avere nel coltivare la sua amicizia con Sigismondo anche quando il Malatesta era caduto nella più rovinosa delle disgrazie? Con un dominio ridotto quasi alla sola Rimini, costretto a una “crociata” poco meno che disperata per poter sopravvivere economicamente e politicamente, non appariva certo la persona più indicata per poter soccorrere il pur amato letterato. Né a Sigismondo poteva essere di qualche giovamento tenere rapporti con un personaggio ormai anziano e screditato, ridotto a mendicare un incarico di corte in corte.

A meno che le cose non stessero esattamente così. Forse quell’amicizia fra i due era del tutto sincera. Come autentico era il dolore che Francesco volle manifestare una volta appresa la notizia che Sigismondo era morto, il 7 ottobre 1468«Al figlio Roberto – prosegue Farina – esprime ciò che da anni sta sostenendo in ogni occasione: suo padre è il lustro dell’Italia intera, “splendidissimo” per la sua gloria in battaglia, non inferiore ad alcuno per virtù, per acume d’ingegno, per eminenza di sapere. E lui gli è grato per la tanta benevolenza ricevuta e, soprattutto, per la famigliarità che li ha sempre legati».

Sigismondo all'assedio di Populonia, miniatura di Giovanni Bettini da Fano

Sigismondo (al centro) all’assedio di Populonia, miniatura di Giovanni Bettini da Fano

Senza tornaconto in vista, può sussistere adulazione? E da questo dubbio ne discendono altri. Davvero Sigismondo era ridotto a essere così inviso ovunque in Italia? Erano tutti d’accordo con la politica di annientamento nei suoi confronti perseguita da Pio II?

A quanto pare no, non lo erano. E più di un governante non esitò a scrivere di “ostinazione”, se non di “persecuzione” da parte di papa Piccolomini. Di certo, i tradizionali amici di Malatesta rimasero tali, se non altro per loro interesse: Firenze, Ferrara e Venezia sopra tutti gli altri. E anche il vecchio Filelfo, proprio sul finire della sua lunga vita, ottenne una sospirata cattedra. Addirittura a Firenze presso quei Medici che lui in passato aveva, da par suo, violentemente osteggiato, preferendo loro gli Albizzi: perfino cercando di far condannare a morte Cosimo il vecchio, invece di concedergli l’esilio! Nonostante ciò, evidentemente,  qualche merito superiore doveva esserselo guadagnato.

Conclude Farina: «Rivisitati attraverso la loro corrispondenza, Francesco Filelfo e Sigismondo Malatesta, protagonisti di primo piano nella lotta per l’affermazione dell’umanesimo innovatore, appaiono accomunati da numerosi aspetti. Ambedue sono vittime dello stesso papa che li ha combattuti con le potenti armi della Chiesa: Filelfo il colto maestro di un tempo, per invidia di letterato; Sigismondo, il condottiero e il magnifico signore, per invidia di principe. Ambedue sono sconfitti in vita dal potere papale».

Ma non solo: «Ambedue sono umiliati e sottoposti ad abiura. Francesco, per por termine alle devastanti ostilità dei nipoti del defunto pontefice, ritratta le sue accuse contro Pio II con una Palinodia che invierà al cardinal Ammannati Piccolomini il 28 luglio 1468. Sigismondo, per poter brandire il bastone del comando dell’armata veneziana nella disperata spedizione in Morea, il 3 novembre 1463 è umiliato a chiedere il pubblico perdono in San Pietro dei peccati che la condanna pontificia gli ha attribuito».

«Altro aspetto che li unisce è la fama, per secoli condizionata in ambedue dal marchio impresso dalla potente macchina del discredito diretta da Pio II. Francesco è condannato a passare alla storia come avido, infedele e ingrato, forse in parte anche giustamente, ma a veder comunque offuscato, se non ignorato, il suo poderoso lavoro di studioso e di letterato. Sigismondo, bollato come ribelle, traditore, eretico e peccatore in ogni possibile declinazione, è stato privato per secoli del valore del suo pensiero di principe colto e innovatore. Per ambedue, comunque, il tempo ha fatto giustizia. Filelfo e la sua opera di non hanno mai goduto tanta attenzione degli studiosi come ai nostri tempi. Sigismondo ha visto la sua reputazione di gran principe dapprima sopravvivere difficoltosamente alle avversità, come testimoniano anche le sue corrispondenze con Filelfo, poi, negli ultimi secoli, affermarsi e diffondersi in ogni continente in maniera crescente. Il tutto nonostante il profilo che aveva voluto fissare di lui Pio II con le sue invettive e i suoi Commentari considerati, nel passato ma ancor oggi, le fonti biografiche più facili e apparentemente più attendibili perché di mano di un papa.
Un papa che, almeno nella sua guerra senza quartiere contro il nostro indomabile principe umanista, mostra invece di aver spesso dimenticato il suo dovere di affermare i valori della cristianità e della verità. Forse perché ossessionato dall’invidia che Francesco Filelfo aveva individuato tra le sue principali debolezze. Un papa anch’esso bramoso, non meno dei suoi due “perseguitati”, di fama e di gloria».

Ultimi Articoli

Scroll Up