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Sicilian Ghost Story, una favola sulla mafia

Il 18 maggio è uscito nelle sale cinematografiche italiane Sicilian Ghost Story, il nuovo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza che ha inaugurato la 56esima edizione della Settimana della Critica a Cannes. Non era mai accaduto che un film italiano inaugurasse la prestigiosa rassegna cinematografica!

La cornice è quella di una Sicilia totalmente inedita, molto più vicina al paesaggio gotico che a quello mediterraneo: i monti Nebrodi assomigliano infatti alla Germania dei fratelli Grimm piuttosto che alle spiagge dorate a cui siamo abituati.

Troviamo difatti boschi e laghi incantati, mondi onirici, un amore difficile, antagonisti ed aiutanti, animali speciali e perfide matrigne, eppure Sicilian Ghost Story non è semplicemente una favola. La favola è bensì la dimensione narrativa, il genere – nel senso letterario del termine – attraverso il quale i due registi hanno brillantemente deciso di raccontare gli orrori della mafia.

Una scelta decisamente felice, anche perché fra i registi italiani si è ormai persa l’abitudine di ideare film partendo dalle strutture narrative dei vari generi. Negli ultimi anni ci stiamo abituando ad una sterile e semplicistica dicotomia, che ha finito per irrigidire il nostro panorama cinematografico: da una parte il film d’autore che sembra ergersi intoccabile su un piedistallo d’avorio, e dall’altra la spicciola commedia commerciale, costretta a vergognarsi dei propri successi economici.

Come se all’interno della settima arte non esistessero altri generi narrativi, contaminazioni reciproche, registri e tinte sfumate.

La criminalità organizzata è uno dei temi più in voga del momento, basti pensare al successo di serie televisive come Gomorra e Romanzo criminale, o a film come Suburra, dove scene d’azione dal gusto pulp e dinamiche di potere interne ai clan mafiosi tengono incollati allo schermo milioni e milioni di spettatori.

D’altra parte, quando sentiamo parlare di criminalità organizzata, siamo abituati alle commemorazioni solenni di vittime e martiri della mafia: un’abitudine a volte persino controproducente – per quanto in buona fede – perché rischia di collocare questi santi laici in un universo empireo, troppo al di sopra delle nostre possibilità, rendendoli eterei modelli da contemplare e non riferimenti da imitare quotidianamente.

Una dinamica che, per quanto fuori contesto, mi ricorda le parole lungimiranti di Bertold Brecht: «sventurata la terra che ha bisogno di eroi.»

I due registi siciliani, però, non hanno scelto né l’una né l’altra strada: partendo dal fatto storico dell’omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo, attraverso le caratteristiche narrative tipiche della favola, hanno pensato ad una storia d’amore fra due adolescenti, interpretati da Julia Jedlikowska e Gaetano Fernandez, che fosse l’esatto contrario della mafia e delle sue efferatezze.

Come nelle favole, un ruolo di primo piano è riservato agli animali (un cane, un cavallo, una civetta e una farfalla), che hanno il compito di raccordare piano fantastico e piano reale, rendendo sempre più difficile scindere l’uno dall’altro.

Altro aspetto centrale nella pellicola è senza dubbio il sound design, pervasivo come raramente accade nel cinema: un montaggio sonoro che segue di pari passo il montaggio del film, fornendo costantemente un ulteriore livello narrativo che riesce ad impressionare il fruitore molto più in profondo rispetto alle solite scene di sangue e violenza.

Il film è stato proiettato sulla Nave della Legalità il 23 maggio, nel giorno del 25° anniversario della strage di Capaci: ulteriore testimonianza di come Sicilian Ghost Story abbia saputo raccontare le atrocità della mafia da un nuovo punto di vista, suscitando una reazione consapevole e allo stesso tempo costruttiva.

La Nave della Legalità è un’iniziativa promossa dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e dalla Fondazione Falcone per rafforzare l’impegno nella lotta contro tutte le mafie.

Edoardo Bassetti

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