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Si Fest, ecco le “Seduzioni” in fotografia. L’intervista a Denis Curti

Longevo e fortunato il Si Fest di Savignano, festival internazionale dedicato alla fotografia, giunge alla sua 28° edizione, tra mostre ed esposizioni, workshop, in programma dalla serata di venerdì 13 fino a domenica 15 settembre. Lo fa nel nome di una parola “Seduzione” che solo in apparenza possiamo considerare di facile comprensione. Come hanno giustamente sottolineato gli organizzatori occorrere percorrerne a ritroso la storia etimologica, aprire il vocabolario di latino, scoprire che il verbo deriva dal latino “seducere”, che in italiano significa condurre a sé. Parlare di seduzione sentimentale o erotica, dunque, non è scorretto, ma decisamente limitante. Non tanto in un discorso intorno all’arte ma ancora in un discorso intorno alla comunità. E quindi forse, per comprendere il significato di questa parola, vale la pena di visitare le mostre allestite a Savignano sul Rubicone.

A dirigere artisticamente l’edizione 2019 del Si Fest è Denis Curti, fondatore della galleria Still di Milano e direttore artistico della Casa dei Tre Orci di Venezia. Per Curti si tratta di un ritorno, dopo i festival diretti dal 2001 al 2006.

Con lui abbiamo fatto una chiacchierata a proposito di Si Fest e seduzioni. Con una premessa, un discorso sull’arte in vetrina a Savignano nei prossimi giorni che corrisponde alla risposta alla prima domanda, forse scontata, ma non banale, in un tempo in cui alle parole di rado viene dato il giusto peso.

Denis Curti, che cos’è la Fotografia?

La fotografia utilizza un linguaggio ambiguo che non è mai una mera riproduzione della realtà, perlomeno per me. Ogni immagine prodotta è il frutto di una serie di scelte, così come le parole. Quando noi vediamo un’immagine, o per lo meno quello che noi intendiamo per “fotografia”, assistiamo a una messa in scena. John Szarkowski, direttore del Moma di New York utilizzava due categorie ben distinte. “Windows” e “Mirror”: vi si può leggere, come è facile immaginare, la suddivisione in fotografi “specchio” e fotografi “finestra”. Ecco: questi ultimi sono quelli che ci fanno conoscere il mondo, i primi usano invece la fotografia per specchiare la propria esperienza“.

Concetto che richiama per altro quello che spesso succede anche nel cinema o nella letteratura. Narratori, che spesso compaiono nelle storie e nelle sinossi. Basta pensare a Fellini, in capolavori come Amarcord o I Vitelloni (ma non solo).  Quale è il senso di chiamare in causa Zarkowksy?  

A comprendere il significato di “Seduzione” anche all’interno di questo Festival. I fotoreporter e gli street photographer sono fotografi che “trovano” la fotografia, la cercano. In questo caso la fotografia è il frutto di un incontro. Altri invece sono fotografi che non hanno mai fotografato la realtà ma l’hanno ricostruita come atto finale di una ricerca, di una intenzione progettuale. C’è chi poi trova e incontra le fotografie per trasformare la stessa realtà. Ecco perché “seduzione”, ecco perché il significato di “attrarre a sé”. Il significato è sempre quello, una fotografia è una storia.  La puoi trovare lì già pronta, oppure puoi crearla e inventarla”.

Con quale criterio ha scelto le fotografie che vedremo in mostra?

Mi è stato a cuore cogliere il punto di vista dei fotografi. Li abbiamo invitati a raccontare vicende che avessero a che fare con la “seduzione”. Abbiamo invitato Toni Thorembert che nel 2017 pubblicò un libro in edizione limitata che non a caso si chiama “Seduction of Photography”. La sua riflessione è sul tema della seduzione erotica. Ma il bello è che lui spiega che è la fotografia in sé che seduce. Usa due macchine fotografiche che ci fanno vedere la foto vera e propria che sta creando ma anche l’atto stesso del fotografare.

Ancora “Seduzione”. Parola però non per forza legata al significante che istintivamente viene alla mente. Ci saranno altre “seduzioni” lontane da erotismo e “attrazione”? 

Un focus speciale sull’attrazione delle parole. Per quanto riguarda questo tema, abbiamo scelto Guido Harari, che aveva uno strettissimo rapporto di amicizia con Fabrizio De Andrè. Harari è uno dei fotografi più importanti della scena musicale contemporanea. De Andrè ci ha sedotto con le parole che ha scritto. Che cosa fa Harari? Ci fa vedere foto di Dori Ghezzi che taglia i capelli a De Andrè, De Andrè intento a leggere riviste. Perché lo fa? Lo fa in virtù di una “seduzione”. Come un bisturi si inserisce nelle pieghe più nascoste della pelle. Ma non usa un bisturi, usa una macchina fotografia e quindi non fa sanguinare niente. Al festival abbiamo messo in mostra anche la seduzione del paesaggio e quella del travestimento: se sedurre significa attrarre a sé, ecco comparire le ballerine di burlesque. Ballerine non professioniste, che usano i loro risparmi per comprare i costumi. E lo fanno per sedurre, lontano dalla volgarità ma con passione, con il desiderio di apparire in un certo modo. E poi c’è la seduzione dell’unicità. Mark Craig ha realizzato delle storie utilizzando scarpe da tenni o tute da sci indossate dagli atleti in una singola occasione. 

Guido Harari: l’immagine di Fabrizio De Andrè citata da Curti

“Fotografia” è un termine difficile. Basti pensare che su “Instagram” troviamo fotografie, su Facebook pubblichiamo fotografie. Eppure al Si Fest, prestigiosa manifestazione artistica troviamo “Fotografie”. In tutto questo non c’è un po’ di confusione?

Le foto sui social, per così dire, sono piatti unici. Non ci sono delle storie. Il fotografo è uno chef stellato, nelle intenzioni del paragone, ti racconta delle storie. Quella è la fotografia non tanto di serie A, ma che ci interessa in manifestazioni come questa. Una volta la mamma di una influencer molto famosa mi disse che la figlia non è interessata allo stesso modo in cui lo siamo noi o chi si occupa di mostre ed esposizioni. Mi disse che la figlia usava le fotografie così come si usano le parole. Strategia di comunicazione. La differenza è tutta qui. E infine un aneddoto. Poco tempo fa è morto Robert Frank. Fotografo strepitoso, ha riscritto il vocabolario moderno della fotografia raccontando un’America che nessuno voleva vedere. Dopo mille difficoltà è diventato un mito. Quando Jack Kerouac, scrittore, vede i suoi lavori, gli scrive l’introduzione: significa che Frank aveva – davvero – qualcosa da dire”. 

Mark Craig: Diego Armando Maradona, maglietta.

Savignano non è Milano, non è una grande città. Quali sensazione ha avuto e ha nell’essere il direttore artistico di una grande manifestazione qui in Romagna? 

“Si Fest è un festival che va avanti da 28 anni. Una continuità impressionante. Qui è passato il mondo della fotografia nazionale e internazionale. Questo vuol dire che non è un caso.  Per altro uno dei festival di fotografia più importanti a livello europeo è nato ad Arles, in Francia. Che non è come Savignano, ma non è neppure una grande città. Paradossalmente, per dire, a Milano non c’è un festival di fotografia. A Savignano io ritrovo un clima che altrove è difficile ritrovare. In Romagna si sta bene e puoi incontrare il mondo della fotografia in una situazione di serenità, di tranquillità”. 

Alizia Lottero: la seduzione del paesaggio

Ballerina Burlesque

 

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