Venerdì 27 marzo è deceduto Gian Franco Damerini di anni 79. Era ricoverato da qualche giorno presso l’ospedale infermi di Rimini. Il suo nome è legato alla nuova questura di via Ugo Bassi, realizzata dalla società di sua proprietà, DA.MA e mai utilizzata per un lungo contenzioso con il Ministero degli Interni.
Era anche stato indagato dall’autorità giudiziaria per bancarotta fraudolenta e proprio per questa ragione gli sono stati sequestrati conti correnti per un ammontare di 200 mila euro.
La nuova questura era prevista in progetto integrato del 1998/1999, i cui lavori sono iniziati nel 2001 e terminati nel 2004. Un progetto nato in collaborazione non solo con l’amministrazione comunale di Rimini ma anche e soprattutto con il Ministero degli Interni. E’ il Ministero degli Interni che approva il progetto e le caratteristiche funzionali. Viene anche stabilito anche il prezzo d’affitto: 3,3 milioni di euro all’anno.
E’ proprio l’ammontare dell’affitto che provoca un braccio di ferro tra la proprietà DA.MA e lo Stato. Un braccio di ferro che si è concluso con il fallimento della società di Damerini e con un manufatto in completo degrado.
L’immobile fu messo all’asta dal curatore fallimentare con un prezzo di 10 milioni di euro. Vi fu anche un tentativo di risolvere il problema con la firma del “Patto per la Sicurezza” a fine anno 2017 con il ministro Minniti e le autorità locali che prevedeva l’acquisto da parte dell’Inail per rendere funzionale per le forze dell’ordine l’edificio.
Con la formazione del nuovo governo giallo-verde con ministro degli Interni Matteo Salvini il progetto di recupero della sede della questura di via Ugo Bassi fu fatto saltare a favore di una soluzione in piazzale Bornaccini. Ora si parla di cittadella della sicurezza presso la caserma Giulio Cesare, prevedendo non ben definiti destini per l’enorme edificio realizzato da Damerini.
La nuova questura è stata oggetto anche di un’altra indagine a seguito dell’esposto denuncia, fatto da Guerrino Mosconi (liquidatore, allora, della società DA.MA) nei confronti dei sindaci che si sono succeduti dal 1999 al 2015.
Nell’esposto Mosconi sosteneva che il Comune di Rimini non avrebbe fatto tutto il possibile per mandare in porto la questura. I reati ipotizzati nell’esposto, erano quelli descritti nel codice penale all’art. 323 (abuso di ufficio) e 328 (rifiuto di atti di ufficio).
Dopo le indagini del caso la Procura della Repubblica chiese l’archiviazione che il Gip approvò nell’udienza del 16 Dicembre 2016 in modo netto.