Dovremmo odiarlo, disprezzarlo, inveire contro di lui, metterlo alla gogna, additarlo al pubblico ludibrio. E invece, accidenti, l’ingegnere bolognese denunciato otto volte per violazione delle restrizioni anti-pandemia non riesce a non starci diabolicamente simpatico. Anche se a quest’ora le otto denunce saranno diventate una dozzina e domani, con la gita di Pasquetta, magari raddoppiate.
Anche se noi non potremmo permetterci di spendere migliaia di euro in multe, come lui intende fare: alle forze dell’ordine ha detto chiaro e tondo che pagare per potersi sentire un uomo libero e andare dove gli pare, alla faccia delle norme gli sembra il modo migliore per investire il suo denaro. Sta finanziando la sua personalissima battaglia ideale. E gli si può dare torto, in fondo, visto che le sue gite sono sempre in solitaria e non prevedono pericolosi contatti ravvicinati con i suoi simili – eccettuati, beninteso, i militi della Benemerita che l’hanno ripetutamente pizzicato?
Come Dante «libertà va cercando ch’è si cara», carissima in questi giorni, dai quattrocento euro in su. Via, siamo tutti cresciuti nel culto della libertà, sentendoci ripetere fin dai banchi di scuola che per lei vale la pena sacrificare qualunque cosa, vita compresa. Ai caduti per la libertà sono dedicateSarà anche simpatico l’ingegnere lapidi e monumenti, «Libertas» era scritto perfino sul simbolo della pia e timorata Democrazia Cristiana, anche perché si rappresentava come baluardo sia contro la dittatura comunista che contro il passato fascista.
L’economia occidentale è fondata sulla libertà d’impresa, liberi sono, o dovrebbero essere, il sesso e l’amore, libera è, o dovrebbe essere, la stampa. Insomma, tutto quel che è libero è bello e buono, tranne forse la spiaggia libera, un po’ più ispida e meno accessoriata dei bagni a pagamento.
All’ingegnere che sfida i carabinieri andando a zonzo in bicicletta e auricolari, rivendicando il suo diritto di starsene all’aria aperta per tre ore al giorno bisogna riconoscere, se non altro, la fedeltà a un principio, mantenuta con l’inflessibilità e la tigna tipica degli ingegneri. L’avessero beccato solo due o tre volte potremmo dargli dell’incosciente, ma dalle otto in su dobbiamo prendere atto che ci troviamo di fronte a un Gandhi della pedalata – un militante nonviolento che, a quanto risulta, non dà in escandescenze né reagisce con atti inconsulti o irrispettosi di fronte alla forza pubblica, ma si limita a tirare fuori il portafoglio.
A ben vedere, la sua è la voce di una ragione confermata anche da molti virologi: non è all’aperto o per strada che ci si infetta, ma negli ambienti chiusi, in mezzo alla gente, e soprattutto nelle case. Anzi, i luoghi più pericolosi sono quelli che, in teoria, dovrebbero essere i più sicuri per la salute, gli ospedali e gli ambulatori. Il fatto è che le passeggiate dell’ingegnere sono virologicamente innocue perché ci sono tanti che, anziché uscire in bicicletta in queste belle giornate, se ne stanno ubbidienti a casa, lasciando a lui tutte le strade libere.
Se tutti lo imitassimo affollando le carreggiate, la curva dei contagi ricomincerebbe a lievitare. Allora forse non è il caso di scomodare il padre Dante, rievochiamo piuttosto zio Gaber, che diceva «libertà è partecipazione». In parole povere: oggi essere liberi è sacrificare un po’ della nostra libertà di movimento, per poter essere presto liberi insieme, tutti quanti, non solo quelli che possono pagarsi a peso d’oro una biciclettata clandestina. E pazienza se a Pasquetta la gita fuori porta si fermerà fuori dalla porta del tinello. Auguri a tutti!
Lia Celi