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LIBRI SOTTO L’OMBRELLONE – Don Chisciotte

Questa volta lo sforzo di lettura sotto l’ombrellone è maggiore. Un chilo e 557 grammi. Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, nella traduzione di Angelo Valastro Canale, con testo spagnolo a fronte. Ma se il peso del libro è notevole – resterete stupiti dalla leggerezza del suo contenuto.

Questo testo apparso poco più di quattrocento anni fa contiene tutta la grammatica del nostro immaginario. L’archetipo per eccellenza della visionarietà. Come accade a molti classici della letteratura, a forza di sentirne parlare, di vederli citati, richiamati, esibiti, ostentati, trasfigurati in altre discipline artistiche, uno arriva a un certo punto della vita e gli sembra di averlo letto questo capolavoro universale.

Uno scrittore contemporaneo, che si definisce uomo del ‘900, Erri De Luca, sostiene che il calendario letterario sia composto da un a.C. e un d.C.: avanti Chisciotte, dopo Chisciotte. Sempre De Luca ha coniato un nuovo aggettivo: chisciottimista. L’ottimismo sgorgante dalla visionarietà. Non è una lettura per colti, per navigati delle lettere, per esegeti del testo, per cabalisti delle interpretazioni. Leggere la storia di Don Chisciotte è assistere a uno spettacolo pirotecnico di avventure e apparizioni.

È quella di un hidalgo, un gentiluomo sulla cinquantina proveniente dalla Mancha spagnola, che s’imbeve di troppe letture, giungendo ad autoproclamarsi un cavaliere errante. Tre sono le condizioni necessarie per incarnare tale investitura. Avere una nobile dama cui dedicare le imprese; avere un servo pronto ad accudirlo e a diventare testimone delle smargiassose quanto esilaranti avventure del suo cavaliere; avere un cavallo, meglio un ronzino, quale animale simbolo da cui deriva il nome stesso dell’eroe: cavaliere.

Dulcinea del Toboso sarà la donna; Sancio Panza, il contadino al suo servizio; Ronzinante l’animale su cui si metterà in viaggio il Cavaliere dalla Trista Figura, per diventare il paladino dei deboli e il vendicatore dei torti da loro subiti. Don Chisciotte parte alla conquista del mondo con il mondo ribollente delle sue visioni e delle sue utopie. Un immaginario così eruttivamente incandescente da ricoprire il mondo con la lava della fantasia e della fantasmagoria prodotta dal suo infebbramento trasfigurante il reale.

Così la contadina Aldonza Lorenzo si trasforma nella nobile dama Dulcinea del Toboso. Sancio Panza accetta di diventare lo scudiero del Cavaliere semplicemente per avere ricevuto – e molto prosaicamente gradito – la promessa di quest’ultimo di lasciargli il governo di un’isola. Ronzinante è un malconcio ronzino che nella eccitata trasfigurazione di Don Chisciotte diventa un animale ancora più leggendario del mitico Bucefalo appartenuto ad Alessandro Magno.

Immergersi nel racconto di queste epiche avventure rasenta la magia. Non si ha tra le mani un libro ma un caleidoscopio; la lampada di Aladino, da cui fuoriescono gesta create dal genio della penna. Cervantes racconta la storia di un hidalgo di cinquant’anni nel corso dei suoi cinquant’anni di età. Il tempo anagrafico dello scrittore si trasforma nell’eternità di quello di questo eroe degli invincibili.

Sempre secondo Erri De luca, gli invincibili non sono quelli che rimangono sempre in sella, aspirando al ruolo minore di vincenti o di vittoriosi; gli invincibili sono i disarcionati, gli abbattuti, gli offesi, gli umiliati dalla vita e dai suoi protagonisti, che una volta caduti a terra, ogni volta si rialzano e riprendono il viaggio, come dopo il naufragio un superstite lupo di mare.

Anche Ungaretti si è ispirato al Chisciotte nello scrivere questi versi immortali. E non è forse una magia che l’impresa più citata di tutta la storia della letteratura, che ha plasmato l’immaginario di milioni e milioni non solo di lettori ma di uomini e donne di tutto il mondo, – l’episodio dei mulini a vento scambiati per giganti – non sia più lungo di quindici righe?

I quattro protagonisti di questa storia – Chisciotte Sancio Ronzinante Dulcinea – sono la quadripartizione della nostra anima. E ognuno di loro non corrisponde all’essenza della persona, ma a una sberluccicante trasformazione di una mente geniale che si incammina sino alla soglia sublime della follia. Un cavaliere che non è cavaliere, uno scudiero che è un contadino, un ronzino che è un animale malconcio e una nobile dama che in realtà è una pasciuta e nerboruta contadina, peraltro mai vista di persona da Don Chisciotte.

Ma l’amore – si sa -: è l’idealità per eccellenza. Il mio maestro Renzo Casali ha scritto un testo straordinario dal titolo – Chisciotte si nasce, Sancio si diventa. Tutti i bambini sono dei cavalieri erranti nel mondo fantastico della loro sconfinata e non traumatizzata immaginazione; ci pensiamo noi adulti – purtroppo – ad amputarli di questa folle e anarchica visionarietà per trasformarli in servi ossequenti la religione monoteista della realtà, il mondo delle cose visibili, toccabili e – oggi tutte – acquistabili.

Se Ulisse era posseduto dal nostos di Itaca, Don Chisciotte lo è di quello dell’infanzia perduta, dove la bacinella di un barbiere diventa un prezioso elmo da indossare, dove un gregge di pecore è scambiato per l’esercito nemico, dove trenta mulini a vento sono scambiati per giganti così come un’osteria di campagna per un castello.

Un ultimo episodio – per ingolosirvi di lettura. Don Chisciotte deve mandare Sancio a riferire a Dulcinea che lui è in preda a sofferenze e a pene d’amore per lei, e che ogni vero cavaliere sa di dovere attraversare, rischiando la follia. Ma Sancio, – l’uomo fatto di terra – dice all’uomo fatto di nuvole – di non avere visto alcun segno di questo passionale mal d’amore. Così Don Chisciotte, accogliendo quest’acuta osservazione, si spoglia della sua armatura, rimanendo con una tunica bianca e improvvisamente si mette a correre in modo goffo e a fare capriole fino a lasciare intravedere al povero scudiero le parti più intime di questo cinquantenne dalla complessione severa, secco di carni e asciutto di volto. A questo punto, ottenuta la prova di una chiara follia amorosa, Sancio si mette in marcia sereno verso la nobile dama amata dal suo padrone per procura e forse per eccesso di lettura. Non c’è poeta che non abbia dedicato almeno un verso a questo paladino degli insconfitti.

I versi più belli sono di Nazim Hikmet.

Il cavaliere dell’eterna gioventù
seguì, verso la cinquantina,
la legge che batteva nel suo cuore.
Partì un bel mattino di luglio
per conquistare il bello, il vero, il giusto.
Davanti a lui c’era il mondo
coi suoi giganti assurdi e abbietti
sotto di lui Ronzinante
triste ed eroico.

Buona lettura e buon proseguimento d’estate.

Paolo Vachino

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