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Legge sui piccoli Comuni e fusioni, due cose del tutto diverse

Succede anche questo. In Parlamento gli stessi deputati che sostengono la legge per le fusioni obbligatorie dei piccoli comuni sotto i 5.000 abitanti, con nonchalance, sostengono e votano anche la legge per il sostegno ai piccoli comuni, atto sacrosanto ancorché, quando arriverà, tardivo.

La contraddizione è evidente. Ma poi, con il sistema attuale, le leggi rimbalzano all’infinito fra una camera e l’altra e, fra voti in commissione e voti in aula, passano decenni e legislature, e c’è tempo per qualcun altro di tornarci sopra.

Il titolo del ddl è accattivante: “Misure per il sostegno ai piccoli comuni e alle attività economiche, agricole, commerciali e artigianali e per la valorizzazione del patrimonio naturale e storico culturale”.

Si prefigge l’obiettivo ambizioso di valorizzazione quella che viene definita l’Italia minore, composta da 5.835 comuni con meno di 5.000 abitanti (il 72% dei comuni italiani).

La promessa è di stanziare 100 milioni di euro per 5 anni, che, considerato il numero dei piccoli comuni interessati, significa mediamente 18 mila euro per ogni comune sotto i 5.000 abitanti. Si tenga conto che negli ultimi tre anni i trasferimenti statali per un comune come Gemmano hanno subito le seguenti variazioni: 2013 231.000 euro, 2014 138.000 euro, 2015 93.000 euro, 2016 187,000 euro; col risultato che Gemmano dà più al federalismo fiscale di quello che riceve indietro.

Questa tuttavia vuole essere un’iniziativa a sostegno dei piccoli comuni, che sono nella stragrande maggioranza dei casi afflitti da spopolamento e carenza di servizi, di scuole, di strutture sanitarie, ma nel contempo quasi sempre custodi di uno straordinario patrimonio di arte, cultura, prodotti tipici, tradizioni, saperi.

Le novità introdotte dalla legge sono le seguenti:

  • In ogni piccolo comune dovrà essere attivo uno sportello postale (anche elettronico?). Le imposte si dovranno poter pagare anche negli esercizi commerciali del territorio.
  • Convenzioni fra Regioni e ministero per finanziare il mantenimento degli istituti scolastici statali (quali…?) nei piccoli comuni, anche attraverso forme sperimentali di tele-insegnamento (!?).
  • Diffusione della banda larga, misure per l’efficientamento energetico e risorse per il recupero dei percorsi turistici.
  • Semplificazione delle norme e incentivi per il recupero dei centri storici.
  • Finanziamento di programmi di e-Government e di innovazione tecnologica.
  • Sostegno alle attività commerciali e all’artigianato digitale e valorizzare dei prodotti tipici tradizionali tramite portali telematici e segnalazione nei cartelli stradali.
  • Incentivi alle attività commerciali, permettendo agli artigiani dei piccoli comuni di prorogare l’apertura degli esercizi commerciali nei giorni festivi in apposite aree e per non più di quattro giorni al mese.
  • Incentivi economici a chi si trasferisce nei piccoli comuni sotto i 5.000 abitanti per almeno 10 anni e possibilità di registrare le nuove nascite nell’anagrafe dei piccoli comuni anziché in quella della comune dove avviene il parto.
  • Potenziamento dell’informazione radiotelevisiva sui piccoli comuni.

Ho rispetto per il lavoro dei parlamentari, e apprezzo ogni sforzo di dare una mano ai piccoli comuni. Le proposte sono senz’altro interessanti e positive, ma per me non sufficienti per gestire la svolta necessaria. Non abbiamo bisogno di costruire e mantenere riserve indiane, ma di territori vivi, aperti, competitivi, integrati col resto sistema territoriale. Come governance locale abbiamo bisogno di acquisire capacità progettuale, programmatoria e di investimento per lo sviluppo, di costruire nuove occasioni di lavoro e di crescita. Di questo abbiamo bisogno non di pannicelli caldi.

Tuttavia non ci sarebbero problemi, perché si tratta comunque di proposte interessanti, se non fosse che i conservatori, detrattori delle riforme e delle fusioni, spacciano l’approvazione alla Camera del ddl come l’alternativa alle fusioni stesse. Falso. Come si evince dalle proposte questa legge non è affatto l’alternativa alle fusioni, sia per i temi affrontati, sia per l’esiguità delle risorse economiche, sia perché comunque le risorse stesse sono assegnate anche ai comuni derivanti dalle fusioni di entità amministrative inferiori ai 5.000 abitanti.

Occorre quindi mantenere alta l’attenzione sul progetto complessivo di riordino, servono proposte organiche, attuate con tempestività e con coerenza. Siamo, invece, ancora in attesa di sapere cosa si farà della legge che obbliga i piccoli comuni ad associare tutte le funzioni. In vista della scadenza dell’ennesima proroga attuativa, ed in pendenza della promessa di una revisione dei criteri, ancora non si sa nulla. Prima di aprire nuovi fronti chiudiamo quelli aperti.

Riziero Santi

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