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Fusioni fra Comuni, tre motivi per andare avanti

La fusione fra Comuni non è una operazione di piccolo cabotaggio. Non è solo un modo per acquisire importanti risorse immediate, o per aggirare la legge dello Stato che già obbliga i piccoli Comuni ad associare tutte le funzioni, argomento di facile comprensione anche per i riottosi e che perciò sento usare spesso; oppure, ancora, per risparmiare nelle spese della politica, argomento abbastanza demagogico visto che già nei piccoli comuni questa è una voce di bilancio assolutamente risibile.

La fusione dei comuni, specie di quelli più piccoli, è una operazione strategica e lungimirante. Dico perché in tre punti.

Primo. La fusione consente di superare alcune criticità del sistema.

Il superamento dello “skills divide”. Definisco così il divario esistente tra gli apparati che, per massa critica e possibilità di confronto, hanno accesso effettivo all’informazione e alla formazione e quelli che ne sono esclusi, in modo parziale o totale, perché forzatamente tuttologi in un sistema sempre più specialistico e in trasformazione, con gravi danni su produttività ed efficacia. Inoltre la fusione consente di razionalizzare l’uso di risorse economiche e umane. La ripetizione delle stesse funzioni su ambiti territoriali ristretti creano sperperi di danaro pubblico e inefficienze. La fusione consente di acquisire risorse durature e soprattutto moltiplicate negli anni dall’abbinamento virtuoso fra la capacità di contrarre mutui e l’incremento di disponibilità di spesa corrente per il pagamento degli interessi, con un forte incremento degli investimenti e benefici per l’occupazione e l’economia locale.

La fusione consente di valorizzare le identità. Intendiamoci, con le fusioni non si perdono le identità dei territori, anzi, si creano i presupposti per rafforzarle e farle vivere. Con le fusioni Montescudo rimane Montescudo, Cerreto rimane Cerreto, Gemmano rimane Gemmano. Spesso mi capita di dovere precisare che Onferno, dove insiste una Riserva Naturale e le Grotte è in realtà una frazione di Gemmano. Nell’immaginario collettivo sono e rimarranno le Grotte di Onferno. E così via.

Secondo. Le fusioni consentiranno una più efficace gestione delle Unioni comunali oggi in crisi.

C’è infatti un altro elemento che va (ri)considerato nel modo dovuto. Le Unioni così come sono gestite oggi non funzionano. Ma le Unioni non sono soppiantate e superate dalle fusioni. Ci sono funzioni che non potranno tornare ai comuni anche se accorpati tramite fusione. Lo Sportello Unico delle Attività Produttive, la Polizia Locale, la Protezione Civile, l’informatica, sono solo alcuni esempi delle funzioni che già gestite in Unione e che rimarranno in Unione. Ma anche qui il processo aggregativo non può arrestarsi. Pensiamo ad esempio alla gestione delle procedure per l’acquisizione dei finanziamenti europei e alla loro complessità, pensiamo alla pianificazione territoriale che non può rimanere nei singoli comuni, ancorchè fusi, ma va ricondotta all’ambito ottimale per consentire un uso razionale del territorio e non sprechi e sovrapposizioni di aree industriali, aree commerciali, zone di riserva, ecc.

Terzo. La fusione dei piccoli Comuni è parte di una strategia più ampia di riordino istituzionale.

Da oltre trent’anni la politica nazionale e locale sta tentando di modificare gli assetti istituzionali senza mai riuscirci. Ricordo quando da giovane sindacalista, già nei primi anni Ottanta si parlava dell’opportunità di superare comuni con sedi distanti un colpo di schioppo. Allora si parlava di Montescudo e Montecolombo, arrivati a fusione solo qualche mese fa. Ricordo le discussioni sul superamento del bicameralismo, sulla riduzione del numero dei parlamentari sul rafforzamento degli strumenti della democrazia. Come cittadino, io voglio ridurre il numero dei parlamentari, semplificare la formazione delle leggi, contenere i costi di funzionamento delle istituzioni, sopprimere il CNEL, cambiare il titolo V della Costituzione e ridimensionare il ruolo delle regioni, superare definitivamente le province. Vi è una contraddizione di fondo nel sostenere le fusioni e nel contempo voler arrestare il processo riformatore nazionale. Pensiamo solo alle province, nel frattempo svuotate di risorse e apparati e alla necessità di procedere con le “Aree Vaste”. L’interruzione di quel processo ridurrebbe di molto l’impatto positivo delle fusioni stesse. Ed inoltre sarebbe una indicazione di conservazione troppo forte, ed un colpo letale al processo riformatore, dal quale il Paese non riuscirebbe a rialzarsi facilmente. Ecco perché io sostengo che occorre andare avanti con tutto l’impianto delle riforme, nessuna esclusa, perché questo Paese va cambiato.

Riziero Santi

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