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L’antica ricetta dei brazadél d’l’impajèda

I brazadél d’l’impajèda (bracciatelli dell’impagliata), sono dei biscotti della tradizione romagnola che non si facevano tutti i giorni, ma che per vari motivi erano legati ad alcuni particolari momenti della vita di una famiglia.

Intanto, va detto che, così come per la ciambella di Pasqua, era tradizione preparare l’impasto a casa e portarlo poi dal fornaio del paese per la cottura. Infatti, quando il forno veniva spento, dopo il lavoro notturno del pane, rimaneva la temperatura giusta per ciambelle e biscotti.

I brazadél si preparavano per le cresime e per i battesimi, ma, specialmente, quando si andava a far visita a una donna che aveva partorito da poco (detta, appunto, l’impajèda). In quest’ultimo caso era la mamma della puerpera che preparava un bel panìr ad brazadél (un paniere di bracciatelli) per farne dono alla figlia, che solitamente non viveva con lei.

Ecco gli ingredienti per mezzo chilo di farina:

  • 200 grammi di strutto
  • 200 grammi di zucchero
  • quattro uova
  • un bicchierino di anice
  • una bustina di lievito per dolci
  • buccia grattugiata di un limone

Alla farina si aggiungono il lievito, lo zucchero, la buccia grattugiata del limone, lo strutto e il bicchierino di anice. Si impasta tutto con le uova fino ad ottenere un composto sodo, che verrà avvolto in pellicola per alimenti e fatto riposare in frigorifero per un’ora. Col matterello si stende l’impasto fino ad ottenere uno spessore di tre-quattro millimetri. Si ricavano delle forme rotonde utilizzando una tazza da caffelatte per il bordo esterno e un bicchierino da liquore per il bordo interno. Si pongono i biscotti su una teglia foderata con carta da forno e si cuociono a 160° circa per 10-12 minuti (si devono appena colorire).

Questo racconto, così come la ricetta, sono stati raccolti qualche anno fa dalla voce di una quasi centenaria di Gatteo a Mare: la Pierina d’e’ Zàqual. Ai tempi della nonna Pierina non si faceva, ma oggi, in tempi di abbondanza, i bracciatelli si possono spolverizzare con zucchero a velo.

Buon appetito!

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Cos’è l’impajèda?

Nelle “Relazioni dei parroci del dipartimento del Rubicone, al podestà di Forlì” (1811), c’è l’espressione a j’ò la moi int’la paja (ho la moglie nella paglia), che il marito pronunciava quando la moglie aveva partorito. Mentre a j’ò la moi in s’l’aròla (sull’arola) era detto quando la donna avvertiva le prime doglie. Alle prime doglie la donna sedeva davanti al focolare, coi piedi sull’arola, appoggiandosi alla conocchia. Impajèda era anche il pranzo in occasione del battesimo. Andém da l’impajèda (andiamo a trovare la puerpera) e le si portava in dono una gallina per fare un buon brodo, uova fresche, zucchero, caffè, ciambella. La prima uscita della puerpera era dedicata alla chiesa per l’offerta alla Madonna di un mazzo di candele.

I brazadél sono presenti anche nel Dizionario Romagnolo Ragionato di Gianni Quondamatteo.

“bracciatello, di farina e uova fresche! Solo il cielo sa oggi invece di che cosa sono fatti i mille e uno tipi di biscotti che si trovano in commercio. Per Nadel e per Pasqua, u s’purteva e’ brazadèl ma la murosa. Bracciatella è voce del XIII secolo e il dolce è documentato, come bracidellus, in una glossa latina medievale del X secolo. Secondo ‘La Piè”, deriverebbe dal fatto che veniva spontaneo, ai primitivi venditori, usare il braccio per tenerveli comodamente e in mostra.”

Maria Cristina Muccioli

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