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La tomba del carro alla Grotta Rossa in anteprima: 2500 anni fa Rimini già “internazionale” – FOTO

Un crocevia di genti diverse, oggetti anche da molto lontano, culture che si evolvono e si sovrappongono. E’ il ritrattto di un luogo già “internazionale” quello che esce dagli scavi archeologici alla Grotta Rossa, illustrati per la prima volta in assoluto al Lapidario del Museo di Rimini nella serata di mercoledì 23 giugno. Una “Rimini” tre secoli prima dell’Ariminum dei Romani che ha resitituito una scoperta clamorosa: una tomba dove era sepolto un carro, o almeno parti di esso. E che costringerà gli studiosi a rivedere molte delle loro opinioni.

Orietta Piolanti e Annalisa Pozzi

Orietta Piolanti dei Musei Comunali sottolinea come la stategica posizione geografica della Valmarecchia ne abbia fatto la fortuna, attraendo scambi e incontri fin dalla notte dei tempi: “Un ponte, come il Ponte di Tiberio è divenuto simbolo di questa città nata per unire”. Una vocazione dunque, ma anche un confine naturale che in certi momenti ha attirato pure scontri e sciagure, “come durante la seconda guerra mondiale”.

La concentrazione di siti nella tarda età del Bronzo in bassa Romagna

In questo quadro, l’archeologa della Annalisa Pozzi della Soprintendenza di Ravenna, responsabile per il settore di Rimini, ha descritto come dalla più remota antichità proprio questa vallata abbia visto una concentrazione di nuclei abitati che non ha riscontro nel resto della Romagna. Siamo fra l’ultima età del Bronzo (XII-X secolo a.C.) e la successiva prima età del Ferro. Attorno al centro principale di Verucchio si sviluppa un vero e proprio “demo metallurgico”, di cui sono emersi i reperti più numerosi a Ripa Calbana, San Marino, San Leo, Poggio Berni. Collocati sempre sulle alture a dominare la valle di quel nevralgico Marecchia che mette in comunicazione Etruria, Veneto, costa adriatica e Italia centrale.

E poi c’è il mare, da cui fin dal neolitico arrivano gli orientali, alla ricerca della magica ambra che scambiata di mano in mano scende dalle spiegge del Baltico fino alla pianura padana. La foce dell’Arimnum è il primo approdo che incontrano risalendo l’Adriatico, ma anche l’ultimo sulla terra ferma. Se si sale ancora c’è solo l’immensa palude del delta, tutt’uno con le foci lagunari del Veneto e del Friuli. Ma invece di dover arrivare all’Isonzo, già qui gli indigeni hanno da offrire quelle perle luminose, che se strofinate mostrano un inspiegabile potere di attrazione. Perle di Elektron: nei miti greci sono le lacrime versate dalle figlie di Elio, il sole, per la morte del fratello Fetonte, precipitato con il carro del padre nell’estremo Occidente conosciuto. Là dove il sole muore, in quel fiume Eridano che noi chiamiamo Po.

La Valmarecchia fra le età del Bronzo e del Ferro (VII-VI sec. a.C.)

Verso il VII secolo a.C. Verucchio però va in crisi. Proprio con il commercio dell’ambra si era enormemente arricchita, ma forse troppo chiusa ai cambiamenti. Fatto sta che per ragioni ancora ignote a un certo punto si eclissa. I grandi mercati padani dell’ambra sono ormai Adria e Spina. In Romagna nascono nuovi centri e non sono più arroccati sulle vette, ma già allineati in pianura su un tracciato pedemontano che diverrà la via Emilia.

E a “Rimini” cosa accade? Non c’è ancora nessuna città dove la vediamo ora, ma certo la foce del Marecchia è ancora un approdo frequentato dai mercanti. Per chi naviga da sudest, la via di terra più breve per l’Etruria parte da qui. L’abitato è sui colli di Covignano, con le sue fonti sacre e le dimore delle divinità locali. Si entra in una fase di transizione. Secondo gli storici antichi, agli Etruschi si sostituiscono gli Umbri. Ma andò proprio così? Le scoperte della Grotta Rossa aumentano dubbi che già circolavano fra gli archeologi.

La “tomba 1”

Nel 2019 in via della Grotta Rossa si devono costruire due palazzine che prevedono anche seminterrati. Il Comune di Rimini è uno di quelli, non moltissimi, che ha adottato nei suoi piani urbanistici la carta archeologica: classifica il territorio in base alla probabilità di trovare qualcosa. L’area di Covignano vi rientra in pieno e quindi prima di procedere con il cantiere ci vuole l’indagine preliminare degli specialisti. E così avviene.

Si sondano due settori e subito spuntano reperti. Si va avanti fino a tre metri di profondità, fra non poche difficoltà compreso il sempre incombente rischio che gli scavi si allaghino. In quello che viene battezzato “lotto A” c’è senza dubbio una necropoli. Mentre dal “lotto B” spunta una quantità incredibile di ceramiche, delle epoche più diverse.

Le due aree di scavo

Le sepolture sono sei, solo in tre viene ritrovato lo scheletro. Nella “tomba 6” c’è quello di un bambino. Un anno fa, chi scava la “tomba 5” non crede ai propri occhi: una ruota di un carro, o almeno quel che ne resta. Da queste parti un corredo funebre con tanto di cocchio non era mai stato trovato. Evento rarissimo in tutta la Romagna, mentre sono famosi i carri dei Piceni, più volte riemersi nelle Marche.

La porzione di ruota in ferro della Grotta Rossa

Purtroppo la “tomba 5” è anche la più compromessa. Negli anni ’60 qui c’era un laboratorio artigianale e un pilone delle fondamenta ha cancellato parte della sepoltura. Era un carro intero oppure solo le sue ruote, usanza pure documentata da altre parti? Gli studi sui reperti proseguono, anche se non sarà facile avere delle risposte certe.

Di sicuro non era da tutti avere un carro, da guerra o da parata che fosse. Un capo: guerriero, sacerdote, o entrambi. Il corpo deposto integro assieme al corredo. Non più le ceneri del rogo funebre racchiuse in un’anfora, come avveniva in quella Verucchio ormai svanita. Le genti e le culture sono cambiate.

La ruota della Grotta Rossa (in alto) a confronto con quelle ritrovate a S. Giovanni in Compito (in basso a sinistra) e Rocca S. Casciano (a destra)

Siamo senza dubbio nel VI secolo prima di Cristo. Un secolo in cui Roma caccia il suo ultimo re Tarquinio il Superbo e si ritrova in guerra con gli Etruschi di Porsenna. Mentre nel lontano oriente Ciro il Grande conquista Babilonia e vi libera gli Ebrei, quelli di “Va’ pensiero”. In Grecia insegnano i primi filosofi, da Pitagora ad Anassimandro. E alla Grotta Rossa che succede?

Calderone in bronzo

Succede che il misterioso personaggio appena riesumato sembra avere un collega a San Giovanni in Compito, presso Savignano. Anche quella, una ricerca condotta da Annalisa Pozzi. E anche là l’inconfondibile ferro curvo che doveva far parte di una ruota, di nuovo a far parte di un sorprendente mix. C’è un elmo che come il cocchio richiama i Piceni. Ma anche materiale indubbiamente etrusco, assieme ad altro addirittura sabino, dal pieno centro Italia. Insomma un quadro molto più complicato rispetto a quell’uniforme popolamento degli Umbri descritto dalle fonti antiche, di cui fino a pochi anni fa gli studiosi si erano fidati.

“Tomba 6”: fibula e disco in terracotta etrusco

Alla Grotta Rossa come al Compito le tracce degli Umbri sono mescolate a quelle di altre genti, senza far capire chi fossero i “padroni di casa”. Ecco quindi una piccola “olla” in ceramica, che sembrerebbe avere manici doppi ad anello come quelle dei Piceni. Ma anche degli Umbri: talvolta si tratta di pissidi con coperchio modellato con raffinate decorazioni figurative. Però ci sono anche ceramiche nere a “bucchero” o le sue imitazioni, etrusche doc. Le fibule sono di tipo abbastanza comune in Romagna, come alcune ceramiche di tipica ed esclusiva produzione locale. Ma non è affatto tipico un calderone in bronzo, identico a quelli di Teramo e Chieti. Nella tomba del bambino ecco tracce di Etruschi dell’area padana. Ed è etrusco un disco in terracotta non dipinta. Mistero totale poi su una testa anch’essa fittile (nell’immagine in apertura), al momento non suggerisce nemmeno una vaga ipotesi.

Olletta in ceramica

Lo studio sui reperti è infatti appena abbozzato. Impacchettati e trasferiti a Ravenna, si spera di esaminarli per bene da settembre in poi. E sono tanti. Anche perchè la quantità di ceramica prelevata dal “lotto B” è davvero consistente.

Qui niente sepolture. Un luogo sacro? Se lo era, le offerte sono state deposte per secoli, fino a poco prima della conquista romana. In una zona come qella ricca di sorgenti, un culto delle acque non sorprenderebbe. E gli scavi hano individuato almeno due canali. I frammenti vanno dal VI al III secolo a.C. e appartengono ai popoli più diversi, ceramica attica a figure nere che si somma a quelle dell’Italia centrale e settentrionale. Ma, altra sorpresa, in tanta varietà mancano del tutto le testimonianze più ovvie, cioè qualcosa di simile a quanto trovato sulla sommità di Covignano per le stesse epoche. E invece niente, o almeno per ora. Uno dei tanti misteri, piccoli e grandi, della Grotta Rossa di Rimini.

Stefano Cicchetti

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