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La tassa sulla successione proposta da Letta è il minimo per un paese civile

Grande stupore ha suscitato la proposta del segretario del Pd Letta di incrementare la tassazione sulle successioni, superiori al milione di euro, al fine di raccogliere somme da destinare alle politiche a favore dei giovani. Alte si sono levate le grida contro il tentativo bolscevico di espropriare la ricchezza degli italiani, manco il malcapitato esponente del Partito Democratico fosse un rappresentante agguerrito della Terza Internazionale. Grida che sono arrivate al punto da far dichiarare, a un tale che scrive su un giornale, che, in fin dei conti, un milione di euro é pari all’incirca al valore di un normale appartamento nel quale ciascuno di noi vive o ha vissuto. Quasi a sostenere, quindi, che tassare le successioni sopra questa cifra sia accanimento contro il proletariato. Questa scomposta opposizione tradisce, però, una certa ignoranza in materia tributaria, in quanto il calcolo della base imponibile dell’imposta di successione, in caso di immobili, prescinde dal valore di mercato degli stessi e si basa, al contrario, su valori determinati in maniera forfettaria. All’incirca il meccanismo di tassazione funziona nel seguente modo: si prende la rendita catastale e la si moltiplica per dei coefficienti diversi a seconda dalla categoria catastale degli stessi.

Un esempio è utile per la comprensione del meccanismo. Facciamo il caso, assai comune, di una eredità che viene spartita da un genitore e due figli. Oggetto del trapasso è un appartamento, di tipologia popolare, con una rendita di 363,00 euro che corrisponde a circa 70 metri quadri di superficie, pari a 4 vani. Il suo valore di mercato, in una città come Rimini, è circa di 150.000 euro. Per capire se si deve pagare o meno l’imposta di successione, occorre prendere la rendita catastale, la si rivaluta del 5% e la si moltiplica per 120. Il risultato è pari ad euro 45.738,00, cioè all’incirca un terzo del suo valore di mercato. Per superare la franchigia prevista, che si calcola per ogni erede e, quindi, nel caso in esame sarebbe di tre milioni di euro, il defunto dovrebbe aver lasciato almeno 66 appartamenti! Per esagerare possiamo aggiungere nell’asse ereditario anche un albergo di circa 70 camere, che mediamente esprime una rendita di euro 20.440. In questo caso il moltiplicatore è pari a 60. Il valore da indicare in successione sarà, quindi, pari ad euro 1.287.720,00, cioè un terzo del suo valore di mercato. Trattandosi di una eredità da dividersi in tre, la cifra per ciascun erede sarà pari ad euro 429.240, cioè al di sotto della franchigia. Tasse di successione da pagare, quindi, pari a zero.

Dimostrato con i numeri l’inconsistenza delle accuse rivolte da chi intravede, nella proposta del PD, una vessazione del ceto medio italiano, non rimane che esprimere due considerazioni di natura meramente politica.

La prima verte sul fatto che anche Luigi Einaudi, certamente non passato allo Storia come un irriducibile marxista, ravvisava la necessità di tassare maggiormente le eredità. In suo libercolo del 1946 sosteneva che l’imposta di successione “è pagata non da chi ha costituito, ha creato il patrimonio, ma da chi lo riceve” e che “l’eredità è un istituto il quale è razionale entro due limiti: da un lato esiste la necessità collettiva di incoraggiare la formazione del risparmio e quindi delle fortune e dall’altro esiste l’esigenza altrettanto imperiosa di non creare un privilegio a favore di chi non ha fatto nulla, di chi si contenta di godere nell’ozio la fortuna ereditata”. Su questo filone si inseriscono anche le teorie liberali di stampo anglosassone, le quali attribuiscono alla tassazione delle successioni un ruolo attivo nella lotta alla rendita che, come si sa, è parassitaria per un sistema economico capitalistico. L’erede che riceve, infatti, una ricca dote non avrà interesse a impegnarsi più di tanto a creare nuova ricchezza, ma si adagerà a campare con i soldi ricevuti. Spesso, però, siccome la ricchezza si trasmette per via genealogica, mentre l’intelligenza segue criteri più casuali, può capitare che un padre ricco lasci tutto a un figlio scemo, che dilapiderà quanto avuto senza creare alcuna utilità per la collettività. Ci si domanda, quindi, se non sarebbe più vantaggioso togliere parte della ricchezza da siffatto stolto utilizzando l’imposta sulle successioni e redistribuire tali denari come proposto dal segretario Letta all’accrescimento di altri giovani, incidentalmente pure più consapevoli?

La seconda considerazione è che con l’imposta di successione si persegue una pur minima equità tributaria. E’ un dato incontrovertibile che molta parte della ricchezza degli italiani si è formata anche attraverso una consistente evasione fiscale, che spesso nell’economia diffusa è stata impiegata per incrementare il proprio patrimonio immobiliare. Tassare, quindi, maggiormente le eredità vuol dire non sottoporle a nuove tasse come qualcuno sostiene, ma più prosaicamente tassarle per la prima volta, visto che si sono per l’appunto create in gran parte proprio sottraendosi all’imposizione tributaria.

Infine è curioso notare la risposta che il Presidente del Consiglio ha dato al Segretario del Pd: Questo non è il momento di prendere i soldi dai cittadini ma di darli. Posto che è da escludere che Draghi, con il favor delle tenebre, si metta a stampare soldi, viene da osservare che se questi li dobbiamo dare, da qualcuno purtroppo bisogna prenderli. Al momento, per come vengono finanziati gli interventi, questi denari li stiamo prendendo dalle generazioni future, attraverso l’aumento del debito pubblico. Cioè stiamo raggiungendo l’effetto esattamente opposto a quello che il segretario del PD ha chiesto.

 

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