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La ‘Iena’ Pablo Trincia a Riccione: “In Italia il giornalismo non controlla abbastanza il potere”

Alla quarta edizione dei Dig Awards che si apre oggi a Riccione, tra i tanti professionisti provenienti da tutto il mondo c’è anche la ‘Iena’ (ma non solo), Pablo Trincia. Con i suoi servizi e reportage per il programma di Italia Uno, ma anche per Veleno (serie audio di Repubblica), Servizio Pubblico e Announo su La7, Mai più bullismo su Rai2, Lupi- Limited Access Area e Cacciatori sul Nove ed Hello Goodbye su Real Time, è riuscito a fare conoscere al grande pubblico tante situazioni problematiche e nella maggior parte dei casi ha aiutato anche tanta gente in seria difficoltà. Perché il giornalismo d’inchiesta è sostanzialmente questo: portare alla luce quello che non va, denunciare il marcio che esiste nella nostra società. Abbiamo rivolto a Trincia (che ai Dig Awards terrà un seminario, domenica 3 giugno alle 14.00, dal titolo ‘The Italian Life: impara a realizzare il podcast perfetto’, insieme a due professionisti del settore come Gianni Gozzoli e Giorgio Minguzzi), alcune domande sulla sua professione e, soprattutto, il perché ha voluto intraprendere questo mestiere così importante e allo stesso tempo così tremendamente complicato.

Trincia, che cosa rappresenta per lei il giornalismo?

«Il giornalismo rappresenta un mezzo per ispirare chi lo ascolta, lo guarda e lo legge, chi ne usufruisce insomma. Attraverso le storie delle persone, degli eventi credo sia possibile insegnare tanto agli altri, e poi ovviamente ha anche una funzione di controllo del potere ma, soprattutto in Italia, non viene usato in maniera adeguata».

Perché ha deciso di fare il giornalista?

«Semplicemente perché volevo fare un lavoro che mi consentisse di viaggiare e raccontare storie».

Come è approdato al programma ‘Le Iene’?

«Sono arrivato a Le Iene, dopo aver fatto per diversi anni il free lance per la carta stampata. Ho deciso di buttarmi nella tv, perché non riuscivo ad arrivare a fine mese e così ho provato a mettermi in gioco nell’unico programma che dava spazio a inchieste, viaggi e reportage ed è andata bene».

Si sente un po’ Iena, giornalisticamente parlando?

«Se mi sento un po’ Iena? Sì, oggi direi di sì. Questa trasmissione mi ha insegnato ad andare al cuore delle questioni, a fare domande e pretendere risposte, a rompere le palle, a non girare intorno alle cose, ma andarci dentro ed è per questo che mi sento Iena al 100%».

Quale, di tutti i servizi che ha realizzato per le varie trasmissioni che ha condotto e a cui partecipato fino ad ora, le è costato di più a livello fisico e mentale?

«Beh, direi il programma Veleno. Mi ha impegnato davvero molto sia da un punto di vista fisico, mentale e soprattutto emotivo. Era un format nuovo, ho dovuto combattere per piazzarlo e poi l’ho realizzato nel mio tempo libero e mi ha preso tantissimo tempo».

E quelli invece che le hanno permesso di sentirsi utili alle persone?

«Utili ci si sente spesso. Di recente mi è capitato di aiutare una nonna a ritrovare il suo nipote dopo che sua figlia era morta, consentendole così di riallacciare un rapporto, Questo è uno dei casi in cui ti senti utile, ma ce ne sono tanti. Ci sono delle volte in cui riesci ad avere un impatto nella vita della gente ed è davvero bello».

Il giornalismo d’inchiesta può cambiare veramente le cose in questo paese?

«Non lo so. Sicuramente può smuovere le coscienze e questa è la prima cosa che il giornalismo in generale, non solo quello d’inchiesta, può e deve assolutamente fare, sempre!».

Nicola Luccarelli

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