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Guerra assassina di verità, non diamole una mano con le condivisioni sui social

«Taci, il nemico ti ascolta», ammonivano negli anni Quaranta i manifesti della propaganda fascista – anche se il peggior nemico dei nostri soldati non erano gli Alleati ma l’impreparazione e la presunzione dei vertici militari. Badare a come si parla perché preziose indicazioni non vengano carpite dalle orecchie sbagliate era ed è raccomandazione comune in zona di guerra.

Ma nelle guerre contemporanee, che si combattono sempre di più sul campo della propaganda e delle fake news, il vecchio motto andrebbe ritoccato: “non ascoltare, il nemico ti disinforma”. Che la prima vittima di ogni guerra sia la verità era noto molto prima dell’era digitale, ma oggi l’aforisma ha acquistato ben altro spessore e urgenza, anche e soprattutto nelle zone non interessate direttamente dai conflitti.

Perché ognuno di noi, diffondendo e condividendo materiale sull’onda di una genuina e benintenzionata emozione, può diventare non solo pubblico e spettatore della propaganda dell’una o dell’altra parte, ma anche agente. Per questo, fin dalle prime ore dell’invasione russa dell’Ucraina, sono circolati sui social vademecum per orientarsi nella marea di notizie, foto e video che già stavano inondando la rete. Non basta “tacere” per non aiutare il nemico, bisogna diventare critici attenti e circospetti di tutto ciò che ci passa davanti agli occhi e nelle orecchie. Il che significa rinunciare alla rapidità di fruizione che spinge tanti a informarsi su Twitter, Facebook o Instagram invece che sui media tradizionali, e rassegnarsi al fatto che la disintermediazione non è sempre sinonimo di immediatezza e genuinità e, anzi, può diventare l’opposto.

E non basta diffidare di account poco noti o notoriamente schierati, che riciclano, decontestualizzati, video e foto risalenti ad anni fa (esempio, la “bandiera russa piantata sul municipio di Kharkiv” apparsa giorni fa su Facebook, fotografata in realtà nel 2014 durante le manifestazioni filorusse in quella zona). La disinformazione a volte è sorella siamese dell’approssimazione, e non contamina soltanto i social.

Anzi, nel caso della guerra in Ucraina sono stati proprio i social a smascherare le bugie dei media più tradizionali. Per dire, il 24 febbraio RaiNews24 ha accompagnato le notizie sull’invasione con il filmato di un’esplosione alle spalle di un palazzo, ma non c’entrava nulla con l’Ucraina, si trattava del video relativo a un incidente avvenuto in Cina nel 2015. Nello stesso giorno il Tg2 ha fatto di peggio: per illustrare la “pioggia di missili” su Kiev ha usato una clip del videogioco War Thunder (nell’immagine in apertura) e il filmato di un’esibizione di aerei russi durante una parata nel 2020.

Ma attenzione: i social possono anche screditare informazioni vere, vedi il tweet che sosteneva che le immagini (vere) del bombardamento dell’aeroporto di Kiev fossero in realtà quelle dell’esplosione di una fabbrica in Ucraina nel 2015. La guerra passa sui nostri tablet e cellulari, che possono diventare armi non convenzionali, e dobbiamo esserne consapevoli: le notizie sulla guerra non sono come le foto dei gattini, retwittarle e condividerle alla leggera può avere delle conseguenze. La verità è già abbastanza sotto attacco anche senza la nostra collaborazione.

Lia Celi

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