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Gli stipendi dei sindaci aumenteranno fino a raddoppiare ed è giusto così

Il Governo Draghi ha deciso di aumentare gli “stipendi” dei primi cittadini, come previsto nella proposta di Legge di bilancio approvata dal Consiglio dei ministri.

Gli aumenti saranno del 100 per cento per i sindaci Metropolitani, con percentuali a calare per gli altri Comuni in base al numero dei residenti. Lo stipendio crescerà dell’80 per cento per i sindaci dei Comuni capoluogo di regione e per i sindaci dei Comuni capoluogo di provincia con popolazione superiore a 100.000 abitanti che arriveranno nel 2024 a percepire 9.018 euro. Poi via via gli altri, con aumenti percentualmente sempre minori.

Significa che il sindaco di Rimini vedrà aumentare il proprio stipendio dai 5.010 euro lordi attuali fino a 9.018 nel 2024 passando attraverso un primo ritocco a 6.613 il prossimo anno. Il sindaco di Casteldelci, 379 abitanti , passerà dagli attuali 1.290€ ai 1.372€ del 2022 fino ad arrivare nel 2024 a 1.496€.

La tabella allegata fornisce la situazione attuale e quella futura prevista nella legge di bilancio proposta dal Governo. Si tratta di indennità lorde. La tabella non tiene conto delle riduzioni che alcuni comuni hanno fatto e tanto meno dei sindaci che hanno rinunciato all’indennità e delle maggiorazioni previste in alcune situazioni.

La legge di bilancio prevede anche un «concorso» al finanziamento delle indennità. I fondi, per aumenti progressivi destinati ad andare a regime in tre anni, sono 100 milioni sul 2022, 150 sul 2023 e 220 dal 2024.

Ovviamente anche le indennità di Assessori e Presidenti del Consiglio comunale vedranno adeguate le indennità in proporzione a quelle del sindaco.

Una svolta rispetto ai tempi passati dove l’obiettivo era ridurre le indennità. Non solo quelle esagerate dei presidenti di Regione o Consiglieri regionali (riduzione che è stata giustamente fatta) ma anche quelle dei sindaci e assessori.

Dal mio punto di vista, in una città con oltre 100mila abitanti, percepire uno stipendio paragonabile a quello di un alto dirigente pubblico non sembra così strano e fuori dal mondo. Il rischio è altrimenti quello di un impoverimento della classe dirigente che si aliena la possibilità di avere contributi di una platea più vasta di persone che non sono disposte a lasciare il proprio lavoro e ridursi lo stipendio.

Riconoscere una indennità equa a chi ha grandi responsabilità non significa favorire la “casta” ma solo prendere atto che con la demagogia e populismo si fanno solo danni.

Mi auguro che termini anche l’atteggiamento populistico e demagogico di quei sindaci che rinunciano all’indennità. La ragione è semplice. O è un sindaco ricco di famiglia e se lo può permettere oppure ha altre entrate. In entrambi i casi non è un titolo di merito e tanto meno da presentare come motivo di vanto durante le campagne elettorali.

Nella proposta vedo alcuni rischi ed un limite.

Come detto il Governo partecipa alla spesa delle maggiori indennità solo in parte. E qui si apre una questione delicata dal punto di vista politico: posto che per alzare l’indennità occorre una variazione di bilancio approvata dal consiglio comunale, i sindaci – per quanto convinti delle loro buone ragioni – accetteranno di innescare un dibattito pubblico sul tema, col rischio di finire sulla graticola come sempre accade quando si parla (a torto, a ragione, a sproposito) di «costi della politica»? Molti potrebbero ritenerlo inopportuno o sconveniente sul piano elettorale, rinunciando così in partenza.

La proposta di legge potrebbe imporre l’adeguamento delle indennità come è stato fatto nel passato per le riduzioni. In questo caso il governo si dovrebbe far carico della copertura finanziaria al 100%.

Il limite è nell’aumento delle indennità tra i comuni e le varie fasce di popolazione.

L’indennità aumenta nei comuni con popolazione fino a 50mila abitanti in modo modesto rispetto al carico di lavoro che è ugualmente importante. In fase di discussione in Parlamento le percentuali di incremento dovrebbero essere rimodulate a favori dei comuni con meno abitanti.

Da ultimo vorrei sottolineare che in Italia va affrontato in modo serio anche il finanziamento ai partiti. Attualmente è previsto solo il 2 per mille da parte dei contribuenti su base volontaria. In molti Paesi Europei i partiti hanno anche finanziamenti diretti dallo stato. Germania, Francia e Spagna solo per citare i paesi più importanti. Anche in Italia occorre riaprire questo dibattito partendo da un aspetto fondamentale.

La politica va finanziata, non solo per permettere l’applicazione del principio della partecipazione dell’intera comunità allo svolgimento della vita politica, ma anche per assicurare l’indipendenza della stessa classe politica dal potere di soggetti o categorie capaci di orientare l’attività dei partiti attraverso un’influenza di natura finanziaria. In alcuni realtà, come gli Usa, è la normalità. E’ una pratica che condiziona troppo la politica con tutto quello che comporta. Si pensi solo alle lobby delle armi e quanto incide nel evitare leggi che riducano l’uso delle armi.

La selezione del ceto dirigente e la partecipazione dei cittadini comportano costi in sedi, strutture, strumenti di informazione: la società deve essere pervasa da canali di intermediazione tra chi esercita il potere e chi dovrebbe controllare e partecipare, sia pure indirettamente. La democrazia ha un costo e la società deve risponderne, se non vogliamo che si giustifichino rovinose commistioni tra politica, banche, affari. Controllo rigoroso sulle spese, ma finanziamento pubblico a quegli organismi che consentono l’informazione, il dibattito e la partecipazione dei cittadini

Giusto, sbagliato? Il dibattito va aperto, sbagliato sarebbe fare finta di nulla. Il periodo della riduzione dei costi della politica ha fatto danni enormi. L’abolizione delle province (sono ancora esistenti con sempre maggiori funzioni), l’abolizione dei quartieri, non hanno prodotto maggiore efficienza.

La politica deve riprendere il suo ruolo per ridurre anche la distanza sempre più crescente con i cittadini come si vede dall’astensione alle ultime elezioni.

Maurizio Melucci

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