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Draghi al Meeting di Rimini dice troppo poco del tanto che ha capito

Che Meloni e Draghi non si illudano per gli applausi ricevuti al Meeting di Rimini! E’ risaputo che i giovani e i meno giovani di Comunione e Liberazione sono persone cortesi e tutti gli interventi, qualunque cosa dicano i relatori, ricevono applausi. Poi ci sono anche gli “infiltrati” non ciellini che vanno a fare il tifo (come suggerisce l’amico Piccari).

Per quanto riguarda Draghi, la domanda che mi pongo è: “super partes” si nasce o si diventa? E per quanto tempo ci si può restare ?

Vicino alla conclusione dell’esperienza di Presidente del Consiglio, Draghi si ripropone ancora, in questi giorni difficili di crisi energetica, come “salvatore della patria”. Occorre dire che la “neutralità” dei governi di emergenza non è affatto “neutra”, essa assume l’assetto dei poteri esistente come base della stabilità del sistema, svolge al massimo un ruolo confermativo, non certo evolutivo e riformatore. La composizione di questi governi, spiega il perché.

Una personalità dello spessore di Mario Draghi non può restare prigioniera di quel ruolo confermativo a cui ha alluso al Meeting dicendo: “Chiunque vinca le elezioni, il paese sarà salvo!”.

E’ bene essere ottimisti, ma è legittimo chiedersi: “Salvo a spese di chi?”. Qui avrebbe dovuto venir fuori il Draghi allievo di Federico Caffè, keynesiano di sinistra, per dirci qualcosa su flat tax e affini. Così come sull’immigrazione doveva uscire fuori il Draghi allievo del Liceo romano dei Gesuiti terzomondisti. Napolitano, Scalfaro, Pertini, Ciampi, Mattarella, sono stati uomini “di parte”. Il loro prestigio personale derivava dalle battaglie che hanno combattuto con determinazione e con spirito repubblicano.

Eppure ci sono cose che Draghi deve aver capito facendo il Presidente del Consiglio:

• che la Destra è antieuropeista, non solo perché Meloni ha votato contro il PNRR ma soprattutto perché segue le linee politiche dei vari sovranisti europei, ungheresi e polacchi. C’è una contraddizione in termini fra essere europeisti e dire “prima gli italiani”. La vicenda delle Concessioni balneari ne è una prova: non si può dire contemporaneamente che si è europeisti e che non applicheremo la Bolkestein. Per non parlare dell’obbligo di applicazione delle direttive europee per ottenere i soldi del PNRR.
• Che la politica fiscale è il principale strumento di lotta alla diseguaglianza. Non è ancora strumento per l’eguaglianza delle opportunità, ma è la premessa perché ciò avvenga. A tre condizioni: a) che tutti paghino le tasse; b) che, come impone la Costituzione, le tasse siano progressive e non piatte; c) che il lavoro sia “in chiaro” e stabile e dia stabilità al sistema previdenziale.
• Che i principali avversari del rigore nella lotta alla pandemia, guidata dal Ministro Speranza con Conte e con Draghi, sono state lo scetticismo delle destre e delle reti di propaganda ad esse collegate che hanno ampiamente occhieggiato ai no vax. Stiamo parlando di una delle più gravi catastrofi sanitarie della storia e l’Italia ha dovuto gestirla con ministri che votavano i provvedimenti restrittivi e, subito dopo, li attaccavano sui social.
• Che il rigore sui conti pubblici non è per noi un optional visto che abbiamo un debito pubblico pari al 155% del PIL. Cosa vuol dire? Vuol dire che se per paradosso gli italiani, per un intero anno, continuassero a produrre senza consumare (senza mangiare, senza riscaldarsi, senza curarsi, senza andare a scuola, ecc.), ciò che hanno prodotto non basterebbe a ripianare il debito pubblico. Il resto sono chiacchiere.

Ecco perché mi aspettavo da Draghi un discorso più incisivo. Certo, ha attaccato il sovranismo e chiarito che nessuno in Europa ce la farà da solo, ma è ancora troppo poco.

Giuseppe Chicchi

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