Nel dibattito di questi giorni sul CEIS abbiamo avuto forte l’impressione che molti stiano intervenendo senza sapere che cosa questa istituzione scolastica sia stata e abbia rappresentato per Rimini in quasi 73 anni, da quel lontano 1 maggio 1946 quando venne ufficialmente inaugurata.
Proviamo allora a ricordare come si arrivò alla nascita dell’Asilo Italo-Svizzero. E’ possibile farlo facilmente perché la bibliografia del CEIS nei decenni è diventata consistente e quasi sempre di grande pregio.
Il prof. Carlo De Maria, docente all’Università di Bologna, nel volume “Lavoro di comunità e ricostruzione civile in Italia, Margherita Zoebeli e il Centro educativo italo-svizzero di Rimini” (Viella, 2015), sfruttando l’accesso all’archivio del CEIS, ricorda come nel 1945 “quella primavera, mentre si stavano ancora stabilendo gli accordi tra il governo italiano e il programma di aiuti internazionali predisposto dalle Nazioni Unite, il sindaco Clari non restò in attesa di indicazioni ministeriali e fece appello direttamente al Soccorso operaio svizzero, sapendo di poter contare su alcuni canali politici interni al mondo del socialismo democratico e riformista”.
“La sua richiesta di intervento – relativa in primo luogo alla realizzazione di una struttura di ricovero e assistenza destinata ai bambini colpiti dalla guerra – venne immediatamente accolta dal segretariato centrale di Zurigo, anche grzie alla mediazione del sindaco di Milano, Antonio Greppi, compagno di partito di Clari”.
“Entrambi venivano dall’esperienza del riformismo prefascista e militavano ora nel Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP); due anni più tardi, al momento della scissione socialdemocratica, si sarebbero ritrovati insieme nel nuovo partito di Saragat. Greppi aveva trovato rifugio, alla fine del 1943, nella Svizzera italiana, entrando in stretto contatto con un altro socialista riformista di lungo corso: il consigliere di Stato del Canton Ticino Guglielmo Canevascini, dirigente del partito socialista ticinese e figura chiave nell’organizzazione degli interventi di soccorso verso l’Italia”.
“Su proposta del Soccorso Operaio, il Dono svizzero appoggiò l’idea di realizzare “un centro sociale ed educativo” a Rimini, stanziando a questo scopo 470.000 franchi e incaricando lo stesso SOS di procedere con una propria squadra di lavoro e propri tecnici. La costruzione del CEIS funse da moltiplicatore nei confronti della solidarietà elvetica, dal momento che venne accompagnata da altri interventi finanziati dal Dono svizzero: all’incirca negli stessi mesi arrivò a Rimini il necessario per 200 posti letto ospedalieri (arredamento e strumentazione) e si pensò alla realizzazione di un “ospedalino baraccato di m 32×6.50 per maternità, completo di tutto il materiale interno”.
“Nel complesso la nascita del CEIS rappresentò il frutto di una collaborazione molto stretta fra il Comune di Rimini e il Soccorso operaio, in un contesto segnato da ben precise situazioni storiche vissute dalla città”.
E’ importante quello che il prof. De Maria, sulla base della documentazione, ha scritto: stretta collaborazione fra Comune e Soccorso operaio. Il CEIS non arrivò a Rimini per caso. Vorremmo ricordare anche che la Giunta presieduta dal Sindaco Arturo Clari era ancora una Giunta nominata dal CLN, in accordo con gli Alleati, ed era unitaria. Dopo la prima Giunta CLN nominata il 4 ottobre 1944, il 30 giugno 1945 avvenne un rimpasto. La nuova Giunta, sempre presieduta dal Sindaco socialista Clari, era composta dagli assessori comunisti Isaia Pagliarani, Guglielmo Marconi, Nicola Meluzzi, Illaro Pagliarani; dai democristiani Giuseppe Babbi, Armando Gobbi, Alberto Marvelli, Carlo Gotti, Ferruccio Angelini; dai socialisti Gomberto Bordoni, Mario Macina; dal repubblicano Mario Celli. Questa Giunta rimase in carica sino alle prime elezioni comunali tenutesi il 6 ottobre 1946.
Venne incaricato della tenuta dei rapporti con il Soccorso svizzero l’assessore socialista Bordoni. Fu lui che, a nome dell’Amministrazione comunale, scrisse a Margherita Zoebeli il 27 ottobre 1945, pregandola di raggiungere Rimini quanto prima e preoccupandosi che le autorità militari alleate non ne ritardassero per qualche ragione l’ingresso in Italia.
Margherita giunse a Rimini il 17 dicembre 1945 che così descrisse la situazione che vide davanti ai suoi occhi: “Mercato nero, prostituzione e criminalità dominavano una città che mancava delle cose più elementari come vestiti, generi alimentari, materiali da costruzione”.
Scrive Oreste Delucca (“Nasce il Centro italo-svizzero”, in “Memoria come futuro. Cinquant’anni di vita del CEIS” a cura di Teo De Luigi e Stefano Pivato- Maggioli, 1996): “La mattina del 16 gennaio 1946, il Gruppo Facchini impegnato presso la stazione di Rimini mette mano al vagone 7471242: è il primo dei trenta carri ferroviari che, dalla Svizzera, porteranno complessivamente 2.753 quintali di materiale vario, destinato alla popolazione cittadina e alla costruzione del Centro. Rimini, così martoriata dalla guerra, aveva lanciato l’S.O.S.; dalla Confederazione Elvetica aveva risposto il S.O.S. (Soccorso Operaio Svizzero)”.
“I contatti erano stati presi fin dai primi giorni ad opera del CLN. Nell’estate 1945 una delegazione di sindacalisti socialisti elvetici aveva visitato Rimini per rendersi conto della situazione e valutare, insieme con le autorità cittadine, i possibili interventi”.
“Il 17 dicembre 1945 Margherita è a Rimini per espletare i preliminari e quindi coordinare i lavori di impianto del centro, ovvero dell’Asilo baraccato”.
“La discussione sul luogo dove installarlo porta a scegliere la zona dell’anfiteatro romano, previa autorizzazione della competente Sovrintendenza. Nella giornata del 4 gennaio 1946 il vice-sindaco Bordoni può illustrare ufficialmente le scelte operative maturate. La Giunta comunale ne prende atto con soddisfazione; a voti unanimi lo incarica di seguire la realizzazione concreta del centro”.
“Il 16 gennaio, finalmente, superando le tante strozzature di un servizio ferroviario che ancora funziona con difficoltà, giungono i primi materiali dalla Svizzera. L’arrivo dei vagoni procederà ad intermittenza, sino all’11 aprile”.
“Il primo intervento concreto consiste nella pulizia dell’area, nella sua delimitazione, cercando di individuare e seguire le tracce dell’anfiteatro, il cui perimetro è divenuto incerto a causa dei bombardamti e dei crolli circostanti. La ditta Artieri (seguita, per il Comune, dal geometra Enzo Zavatta), si incarica poi di realizzare le piattaforme di muratura su cui poggiare le 13 baracche”.
“Il 1 maggio 1946 avrà luogo l’inaugurazione ufficiale, con i servizi già funzionanti”.
La Giunta del 4 gennaio 1946 approva la proposta di Bordoni di nominare un rappresentante del Comune dentro il CEIS.
Vorremmo ricordare anche questi testi, per le numerose testimonianze che contengono sui primi anni del CEIS: “Una scuola una città. Il Centro educativo italo-svizzero di Rimini” (Autori Vari – Marsilio, 1991); “Lo spazio che educa. Il Centro Educativo Italo Svizzero di Rimini” (Autori Vari – Marsilio, 2012).
Nel volume, a cura di Andrea Ugolini, “Ruderi, baracche, bambini. CEIS: riflessioni a più voci su un’architettura speciale” (Altralinea, 2017) la Fondazione Margherita Zoebeli ha scritto: “Noi pensiamo che il CEIS con le sue baracche ormai storiche costituiscano una valorizzazione del paesaggio urbano riminese di grande interesse architettonico e ambientale, irrinunciabile per la città (…)”.
“Quel rapporto architettura/pedagogia cui fu riservata grande attenzione fin dal progetto iniziale del centro, essendo Margherita e i suoi collaboratori ben consapevole dell’influenza dell’ambiente sulle relazioni sociali ed educative, è ancora fondamentale. Si tratta di un insieme di elementi che ha a che fare con l’espressione, la creatività, l’esplorazione, il movimento, il senso dell’orientamento, l’indipendenza, in una parola il benessere dei ragazzi”.
“Oggi come in passato i bambini amano le casine di legno, ne colgono subito la particolarità, le sentono come proprie. ‘Ci sembrava di vivere in un mondo tutto nostro’, hanno affermato ex alunni diventati adulti”.
E Giovanni Sapucci, direttore del CEIS: “Un ambiente che ancora oggi mantiene i connotati essenziali pensati e progettati da coloro, Margherita Zoebeli e Felix Schwarz, che hanno realizzato il Villaggio di baracche nel’immediato dopoguerra”.
Ma chiede anche, come ha fatto anche in questi giorni, che la politica tenga conto di queste complessità e della ricchezza della storia del CEIS quando affronta l’argomento del suo spostamento: “Su questo tema, come abbiamo ripetutamente detto, noi non abbiamo una posizione preconcetta, ma chiediamo che venga affrontato riconoscendone la complessità e tutte le dimensioni coinvolte, in altre parole, con la serietà che richiede una esperienza educativa il cui valore è ampiamente riconosciuto da studiosi, insegnanti e genitori, non solo riminesi. Una esperienza in cui la dimensione architettonica ed ambientale costiuisce un elemento essenziale”.
Questi sono i temi che devono essere affrontati, dalla politica riminese e dal CEIS. E i politici sono chiamati a volare alto, e a lasciar perdere le piccole baruffe da teatrino di periferia. Il CEIS è un bene prezioso della comunità riminese e come fare a tutelarlo e a valorizzarlo è il tema sul tavolo. Poi è giusto porsi anche il problema dell’Anfiteatro romano. Ma non può essere oggi questa la priorità che scardina e può distruggere una realtà educativa fondamentale della scuola italiana come è oggi, dopo 73 anni, il CEIS.