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Che c’azzecca Sigismondo con Papa Francesco?

Stimolante e di notevole profondità il discorso del Papa in Myanmar sul parallelismo fra Francesco d’Assisi e Buddha. Temo che qualcuno in Vaticano abbia fatto un salto sulla sedia. Ma come, avranno borbottato, noi preti andiamo per il mondo a convertire i pagani, a evangelizzare i popoli e il Papa, il capo dei cattolici, va lì a dire: ”Budda e Francesco d’Assisi erano simili!”.

Dunque le Crociate, la caccia alle streghe, la distruzione delle “reductiones” dei Gesuiti dell’America latina (colpevoli di “comunismo” tre o quattrocento anni prima della nascita di Marx), il rogo di Giordano Bruno nel 1600, le scomuniche, ecc., cosa sono serviti?

Tu, Papa Francesco, vai a cercare nelle altre religioni la traccia comune, il medesimo bisogno profondo dell’animo umano, invece di condannare i riti non cattolici, le superstizioni, le tracce pagane? Tu vai in Myanmar e hai il coraggio di dire: ”Le parole del Buddha offrono a ciascuno di noi una guida”!

Dietro quella che sembra una “captatio benevolentiae” verso un paese buddista, c’è ovviamente un pensiero profondo, una conoscenza storica che proviene dal movimento francescano del Trecento e dalle missioni dei Gesuiti in Asia nel XVI secolo.

Ciò che più conta però è l’emerge ancora una volta del carattere innovatore di questo Papa, la spregiudicata solitudine con cui conduce la battaglia per una Chiesa aperta al mondo e alle sue diversità. E’ per questo che a noi laici (potremmo dire “atei”, privi di Dio) Bergoglio piace, per questo sommesso relativismo con cui cerca di cogliere il senso del moderno e delle sue differenze.

Giustamente Silvia Ronchey, nota orientalista, nell’articolo su Repubblica del 30 novembre, fa riferimento al sincretismo religioso, quell’antica corrente di pensiero mai accettata dalle varie religioni perché contiene in sé una bomba inesplosa: l’annullamento delle “chiese” come strutture istituzionali, come spade e bandiere in nome delle quali dirottare un aereo sulle Torri Gemelle, o uccidere gli infedeli del Bataclan di Parigi.

La Chiesa Romana del ventunesimo secolo, dimostra la sua saggezza e, non per caso, parla la lingua di Bergoglio!

Che c’azzecca Sigismondo in tutto questo?
C’entra, come c’entra Gemisto Pletone, il filosofo greco che predicò inascoltato al Concilio di Firenze (1437/38) il sincretismo religioso, la ricerca delle radici comuni nelle religioni del Mediterraneo.

Non è casuale che ciò avvenisse mentre l’Islam avanzava verso l’Europa. Poco dopo, nel 1453, cadrà Costantinopoli sotto le armi di Maometto II.
Come non è per caso che Sigismondo Malatesta, lo scomunicato, il pagano, il demone, sia inviato dal Papa Pio II a tentare l’impossibile sconfitta di Maometto II in Morea nel 1464.

Sigismondo, di fronte allo strapotere degli islamici, è costretto a ritirarsi, non prima però di avere inviato a Rimini le spoglie di Pletone per custodirle nella terza arca di pietra sul fianco del Tempio Malatestiano. Una messaggio neanche tanto oscuro diretto al Papa di Roma, potente come un pugno nello stomaco: devi accettare le differenze, nelle comuni radici della classicità si trova ciò che può unire i popoli del Mediterraneo!

Il Tempio di Rimini è il manifesto di questa visione sincretica, non è un tempio pagano, come nella polemica “politica” Pio II lo definì, è un libro di pietra dedicato alla pace e all’armonia fra i popoli. Pronunciato da un guerriero (nel senso letterale del termine) come Sigismondo, questo messaggio vale il doppio.

Giuseppe Chicchi

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