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Ma di chi sono i chioschi sulla spiaggia?

Al vaglio del TAR Emilia Romagna la “vexata questio” degli incameramenti dei chioschi-bar e più in generale dell’art. 49 del Codice della Navigazione. In allerta la Corte di Giustizia della U.E.?

Come già pubblicato il 15 novembre da Chiamamicittà.it, alcuni chioschisti titolari di attività che insistono sul cosiddetto “Triangolone” di P.zzale Boscovich, patrocinati dall’ avv. Ettore Nesi, hanno chiamato davanti al TAR Emilia Romagna, il Comune di Rimini, il M.I.T. (Ministero delle Infrastrutture e Trasporti), il M.E.F. (Ministero dell’Economia e delle Finanze), l’Agenzia del Demanio Marittimo, impugnando una serie di atti amministrativi che vanno:

a) dal Decreto del M.I.T. (n. 220 del 13 dicembre 2016) che disponeva “l’esclusione dal pubblico demanio marittimo e il conseguente trasferimento ai beni patrimoniali dello Stato delle aree del “Triangolone” e dei sovrastanti manufatti pertinenziali acquisiti allo Stato”

b) al Decreto dell’Agenzia del Demanio (Emilia-Romagna) n. 4137/2017 che detta il disciplinare di tale trasferimento;

c) ai vari pareri e note dei vari enti pubblici complementari e funzionali a tale “scalssifica” e “trasferimento”.

Ricordiamo brevemente che ad oggi, dopo tali provvedimenti, non esiste nessun titolo giuridico legittimante i titolari delle attività insistenti su tali aree a continuare nella prosecuzione dell’occupazione del suolo pubblico se non quello che viene riconosciuto come “occupazione di fatto” in quanto “la concessione demaniale marittima a scopo turistico ricreativo” è cessata nel momento in cui tali beni immobili sono stati “declassati” dal Demanio Marittimo statale e trasferiti al Patrimonio Disponibile dello Stato prima e poi a quello del Comune di Rimini successivamente al Decreto di trasferimento di cui sopra.

Il Comune di Rimini con delibera di Giunta n. 212 del 1 agosto 2017 aveva deliberato la “trasposizione” di tali beni immobili al “Patrimonio Indisponibile” dell’ente valutando di procedere transitoriamente ad una nuova concessione dei beni ai medesimi utilizzatori alle condizioni stabilite dal Comune, per poi annullarla in autotutela la settimana successiva, 8 agosto 2017 con delibera di Giunta n. 216, per “carenza del visto di regolarità contabile”.

A distanza di quasi 4 mesi nessun altro provvedimento è stato assunto dalla Giunta riminese e di conseguenza se per qualificare il regime giuridico di tali aree è sufficiente attingere alla legge e al disciplinare del trasferimento che le qualifica “beni patrimoniali disponibili”, nessuna qualifica giuridica può attribuirsi, di contro, al regime di utilizzazione (autorizzazione, concessione, locazione?) di tali beni da parte degli attuali occupanti restando esso, come si dice, nel limbo.

A parte i problemi giuridici e quelli di definizione di entrate erariali per le casse del comune di Rimini che comporta tale situazione già presi in esame da altri articoli pubblicati da Chiamamicittà.it, o quelli relativi all’ eventuale “inapplicabilità della procedura di trasferimento agli enti territoriali ex art. 56-bis D.L. n. 69/2013 ai beni appartenenti al demanio marittimo in quanto riservata solo ad “altri beni immobili dello Stato” che dovrà affrontare il Tar dell’Emilia-Romagna, l’altra questione interessante sottoposta all’organo di Giustizia Amministrativa sarà quella del “diritto di proprietà superficiaria” dei manufatti, speculare a quella dell’“incameramento” previsto dall’art. 49 del cod. nav. (“Devoluzione opere non amovibili”).

In buona sostanza, si dovrà valutare se a fronte di un “incameramento” avvenuto al tempo del “dominio demaniale” di tali beni (ricordiamoci che esiste l’automatismo di un incameramento a favore del proprietario del suolo “di opere non facilmente amovibili”,,  tant’è vero che i procedimenti di acquisizione hanno funzione “meramente ricognitiva”), vi sia stato anche l’eventuale trasferimento al Comune di Rimini del manufatto (Chiosco-Bar) in quanto già precedentemente entrato nel “patrimonio” dello Stato perché “incamerato” (come naturale conseguenza della cessazione e quindi della decadenza della concessione demaniale marittima come richiede la giurisprudenza di legittimità e merito in questi casi) prima del trasferimento al Comune, oppure se persistendo la cosiddetta “proprietà superficiaria” in capo al “chioschista”, tali beni (Chioschi-Bar) siano rimasti esclusi dal trasferimento tra enti pubblici in quanto beni di proprietà di terzi.

Come si può immaginare la questione non è di poco conto, anzi risulta essere di più ampia portata per il pubblico interesse all’utilizzo dei beni di tutti,  in quanto evade dai contorni riminesi e non solo per quanto riguarda:

a) un eventuale “indennizzo” eventualmente da corrispondere o no al proprietario “espropriato” (i fautori del sì invocano la sentenza della Corte di Giustizia U.E. “Laezza” del 28 Gennaio 2016, mentre i sostenitori del no ritengono inapplicabile tale sentenza in quanto i principi in essa delineati riguardano le “concessioni per la raccolta di scommesse” e non quelle “demaniali a scopo turistico ricreativo”);

b) ma anche, per quanto concerne. tutta l’impalcatura giuridica su cui si fonda l’ art. 49 cod. nav e cioè quella della “essenza ontologica” della facile o difficile “amovibilità” in generale del bene immobile Chiosco-Bar. 

È bene evidenziare che, almeno così si evince dall’esperienza riminese non solo del Triangolone Boscovich ma anche della fotografia di tutto l’arenile, tali beni sono accatastati, ergo soggetti ad imposizione IMU; alcuni hanno ottenuto accertamenti di conformità edilizia (sanatorie); altri addirittura sono stati condonati e molti altri sono muniti di certificazione di idoneità sismica.

È chiaro che se la questione dovesse, come risulta sia stato richiesto dai ricorrenti, essere devoluta alla Corte di Giustizia U.E. per una pronuncia in via pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulla questione della compatibilità dell’attuale art. 49 cod. nav. con gli art. 49 e 56 TFUE (già art. 43 e 49 Trattato CEE), gli spunti giuridici si rivelerebbero di assoluto interesse e importanza non solo per il Giudice nazionale chiamato a decidere il caso di specie, ma anche per il Legislatore che sta definendo la materia con la Legge Delega di riordino della materia e forse, viste le tempistiche della politica (è da circa 10 anni che si parla di riordino della materia), se il TAR dell’Emilia-Romagna dovesse valutarne la “rilevanza” per il caso sottoposto al sua esame, potremmo avere un’altra sentenza della Corte di Giustizia U.E. che supplisce all’ indecisione della politica su questa “vexata questio”.

Roberto Biagini

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