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Il cantautore riminese Andrea Amati presenta il suo “Bagaglio a mano”

Dal teatro alla musica. È questo il percorso che ha intrapreso il 33enne riminese Andrea Amati. Un interprete dei nostri giorni che ha cominciato a muovere i primi passi nel panorama artistico nazionale sopra il palco del teatro. Fin da adolescente comincia a frequentare scuole e ambienti teatrali riminesi, a perfezionare il linguaggio del corpo con la danza, la dizione, il canto e la narrazione. Nel 2014 si è fatto conoscere con il suo primo album ‘Via di Scampo’, che lo ha portato a suonare in giro per l’Italia. Domani, mercoledì 18 aprile (ore 21,00), Andrea tornerà un po’ alle origini. Infatti sul palcoscenico del Teatro degli Atti di Rimini, presenterà il suo secondo album ‘Bagaglio a mano.’ Ad accompagnarlo in questo speciale concerto (recupero della data del 2 marzo saltata a causa della neve), una formazione di amici-colleghi noti al pubblico riminese come Federico Mecozzi alla tastiera e al violino, Massimo Marches alle chitarre, Marco Montebelli alla batteria e Francesco Preziosi al basso.

Andrea, quando è nato il tuo feeling con la musica?

«Come ascoltatore, praticamente in culla. Mia mamma mi faceva ascoltare gli U2 a tutto volume e io mi addormentavo come un angioletto».

E con il teatro invece?

«Ho studiato teatro. Sul palco, nelle mie rappresentazioni, sono molto teatrale, mi piace l’idea di andare in scena, di creare un sottile filo che possa legare tutto il concerto e non di salire per cantare solo una serie di canzoni. Spesso faccio anche letture e monologhi più o meni improvvisati; il teatro, per quanto mi riguarda, significa libertà e caratterizza, in modo decisivo, il mio approccio alla musica e al canto».

Come ti definiresti musicalmente e artisticamente parlando?

«Un ragazzo come tanti che scrive onestamente della propria vita e di quel che vede, sente e ascolta. Non credo di aver nessun dono particolare se non una certa sfrontatezza e un reale bisogno di salire su un palco a raccontare qualcosa. Ormai per me fare un concerto è quasi una seduta di psicanalisi, con questo disco sono arrivato a pericolosi livelli di vita vissuta».

Hai un genere di riferimento?

«Cerco di tenere viva l’immaginazione e la predisposizione allo stupore, ascoltando più cose possibili. Ciò che faccio arriva dalla tradizione della canzone d’autore italiana, ma amo anche altri generi, dal rock a tutto il circuito indipendente fino alla musica strumentale».

Secondo te, è ancora difficile emergere dalla provincia per uno che vuole fare il tuo mestiere, oppure le cose sono cambiate grazie a internet e ai social?

«Internet favorisce la velocità di diffusione, ma in un negozio strapieno di merci e di proposte non sempre è facile distinguere la qualità dalla fregatura. Cerco di vivere serenamente il mio provincialismo senza pensare da provinciale».

Raccontami qualcosa del tuo secondo album ‘Bagaglio a mano’: perché hai scelto questo titolo?

«È nato dopo aver letto il libro “Solo bagaglio a mano” di Gabriele Romagnoli. Credo ci sia un uso più giocoso delle tante possibilità che uno studio di registrazione offre, una voglia di sperimentare, di tentare strade anche slegate dal filone della musica d’autore italiana e soprattutto di non prendersi mai troppo sul serio. C’è sicuramente un uso dell’elettronica maggiore, miscelata agli strumenti più acustici che già facevano parte del mio background».

Hai già in mente il titolo del prossimo album o è ancora troppo presto?

«È appena uscito questo, che mi è costato quattro anni di vita, una quantità elevatissima di notti insonni e di giornate di registrazione infinite con i miei collaboratori perciò, in questo momento, ho voglia solo di suonarlo dal vivo, perché ne sono molto orgoglioso».

Nicola Luccarelli

(la foto in apertura è di Ivana Rambaldi)

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