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“Bartali non salvò Ebrei”: ed è bufera internazionale sul riminese Stefano Pivato

Uscito nelle libreria da poche settimane l’ultimo lavoro di Stefano Pivato, con il figlio Marco, (“L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata” edito da Castelvecchi) è diventato un caso internazionale. Paginoni sui più importanti giornali italiani, articoli sulla stampa israeliana, francese, un servizio sulla BBC inglese. Bruciata la prima edizione, il libro è già in ristampa.

Eppure è un libro di storia, anzi, meglio, di metodologia su come si fa ricerca storica. E ci spiega come anche Pivato, facendo mea culpa, abbia sbagliato in una sua precedente opera (“Sia lodato Bartali. Il mito di un eroe del Novecento” uscito nel 1985, ma più volte ristampato) avallando la storia di Gino Bartali salvatore di numerosi ebrei nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Per questa narrazione Bartali è stato ammesso da Israele tra i Giusti delle nazioni e lo Yad Washem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, ha piantato un albero con il suo nome.

Bartali in vita (è morto il 5 maggio 2000 a 86 anni) non ne ha mai parlato. Se ne incomincerà a parlare solo cinque anni dopo e, come scrive Pivato, “la vicenda è ormai entrata stabilmente nel senso comune e ha assunto la fisionomia di una verità storica. E la superficialità che ha guidato la costruzione di una memoria del tutto inventata non ha certamente portato rispetto a una delle più grandi tragedie del Ventesimo secolo. Finendo anche per non fare onore neppure a uno dei miti, non solo sportivi, più significativi del Novecento, Gino Bartali, la cui biografia umana e sportiva non necessitava di ulteriori riconoscimenti”.

Naturalmente le reazioni a quanto sostenuto da Pivato non hanno tardato ad arrivare. Abbiamo l’impressione che di questa vicenda se ne parlerà ancora a lungo.
Su tutta questa vicenda abbiamo interpellato direttamente Stefano Pivato.

A che cosa è da ricondurre l’origine della leggenda di Bartali e del salvataggio degli ebrei?
«L’origine di quel mito è da ricondursi a un ambiente, quello sportivo, particolarmente incline alla retorica, all’enfasi e anche alla esagerazione. Teniamo presente che in Italia la narrazione sportiva ha un ruolo che nessuna altra nazione al mondo può vantare (la nostra nazione è l’unica realtà al mondo nel quale si pubblicano tre quotidiani sportivi). Non a caso gli storici parlano di una vera e propria «religione» dello sport con i suoi culti e i suoi riti: è in quel clima particolare che nascono le mitologie. E, fra queste, anche quella di Bartali e del salvataggio degli ebrei. Che, è bene precisarlo subito, è priva di qualsiasi riscontro documentale. Di fatto quella leggenda ha vestito i panni della storia ma altro non è che una forma di “tifo”».

Perché la leggenda è cresciuta negli anni senza alcuna opposizione?

«Intanto vanno registrate le responsabilità degli storici – compreso chi parla – che non hanno mai messo becco, o l’hanno fatto tardivamente, in una vicenda sportiva trasformatasi nel tempo in uno dei simboli della Giornata della memoria. Secondariamente quella leggenda è rimasta sottotraccia per circa sessant’anni: Bartali mentre era in vita non ne ha mai parlato (e questa è una delle tante stranezze) e solo dopo cinque anni dalla sua morte, nel 2005, giorno della celebrazione della prima giornata della memoria, si è iniziato a parlarne con testimonianze di seconda e di terza mano che sono riemerse dopo decenni. Credetemi, se un alunno di terza liceo presentasse una tesina sul rapporto fra Bartali e il salvataggio degli ebrei con i documenti fino a ora prodotti sarebbe bocciato da un qualunque insegnante. La storia non si fa con i “si dice”, “si racconta”, “qualcuno ha detto che”…. In questo modo non si fa altro che confermare il giudizio di don Aldo Brunacci, canonico della cattedrale di Assisi durante la guerra e protagonista “reale” della falsificazione dei documenti per il salvataggio il quale, allorché sentì per la prima volta raccontare quella leggenda, la definì una “favola”».

Perché il problema della veridicità della leggenda, sollevato più volte anche da storici di parte ebraica, è stato ogni volta sottaciuto?

«Da parte degli artefici della leggenda si è sollevato una sorta di muro di indignazione che ricorda il celebre aforisma di Friedrich Nietzsche: “Nessuno mente tanto quanto l’indignato”. Ma la cosa più squallida è il ricorso all’accusa di antisemitismo o, peggio, di negazionismo. Gli artefici della leggenda esibiscano documenti e non si nascondano dietro facili demagogie».

Paolo Zaghini

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