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Al Fulgor “Tonya”: si può essere coerenti anche nel male

È ancora in programmazione al Fulgor di Rimini Tonya, l’ultima fatica cinematografica diretta da Craig Gillespie, incentrata sulla controversa vita della pattinatrice su ghiaccio Tonya Harding, protagonista nel 1994 di uno dei più clamorosi scandali sportivi degli Stati Uniti.

La pellicola ha ottenuto numerose nomination grazie alle sue due principali attrici, Margot Robbie e Allison Janney, che ha vinto – quest’ultima – il premio come miglior attrice non protagonista in tutte le maggiori rassegne cinematografiche: agli Oscar, al Golden Globe e ai BAFTA.

Un film molto corale, e poco chiuso sulla protagonista Margot Robbie-Tonya, che altrimenti avrebbe potuto avere anche qualche chance in più, portando a casa almeno un premio oltre alle diverse candidature. Una prova molto convincente che dimostra ancora una volta, ce ne fosse stato il bisogno, che il talento dell’attrice australiana non può essere certo ricondotto alla sola bellezza fisica, o alle scene hot ormai diventate un cult di The Wolf of Wall Street (2013).

Tonya Harding è forse la pattinatrice artistica su ghiaccio americana ad aver avuto più risonanza a livello nazionale ed internazionale. Però, dopo aver trionfato nei campionati nazionali nel 1991, dove eseguì il suo primo triplo axel, la sua carriera subì una rapida parabola discendente.

Dietro i successi e gli insuccessi sportivi si nasconde una vicenda personale difficile, che va dall’opprimente rapporto con la madre al travagliato matrimonio con Jeff Gillooly (Sebastian Stan), che il regista australiano ha saputo rappresentare con ottima efficacia.

Nel 1994 il mondo del pattinaggio venne sconvolto dalla brutale aggressione alla promessa del Nancy Kerrigan. L’atleta fu colpita alla gamba da uno sconosciuto: ciò la costrinse a ritirarsi dai campionati nazionali. In seguito si scoprì che proprio la Harding, d’accordo con il marito… (NO SPOILER)!

Tonya è un film molto potente, dal quale esce fuori un’America fangosa, diametralmente opposta da quei sorrisi finti da famiglia felice che Tonya, infatti, non riesce proprio ad incarnare; una società fondata sulla competizione che, quando viene portata all’eccesso, da incentivo diviene scorrettezza, furbizia e violenza: quanto di meno sportivo ci possa essere, insomma.

Una pellicola che dice molto – a noi europei, che molto spesso non realizziamo la grande differenza culturale che ci distingue dagli States – di un Paese che ha l’ossessivo bisogno di trovare qualcuno da amare, ma anche da odiare.

Un piccolo esempio?
«Che cosa dirà la gente di me? Che sono una persona vera…» dirà Tonya, rispondendo a un’intervista: e esattamente su questa frase, a pensarci bene, si è basata la vincente campagna elettorale di Donald Trump.

Morale della favola: essere coerenti con se stessi, di per sé, non è affatto un merito, specie se vuol dire sentirsi liberi e legittimati di perseverare nella propria meschinità.

Edoardo Bassetti

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