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Rimini, scoperte e silenzi nella piazza dei misteri

“Le attività di scavo condotte con l’alta sorveglianza della Soprintendenza archeologica nell’ambito del cantiere di Piazza Malatesta – stralcio del progetto per la realizzazione del nuovo Museo Fellini – hanno portato alla luce solo pochi giorni fa nuovi ritrovamenti archeologici. I reperti appena emersi, come da consueta procedura concordata con la Soprintendenza e messa in atto in occasione dei ritrovamenti più e meno recenti, saranno sottoposti ai necessari approfondimenti già dalla prossima settimana”.

Così la scarna nota del Comune di Rimini riguardo gli scavi nel cuore della città che stanno incuriosendo un po’ tutti. In altre parole, la Soprintendenza archeologica di Ravenna prosegue nella sua bizzarra politica di comunicazione: bocche cucite, omertà assoluta e guai a chi fa trapelare qualcosa. Come se i cittadini non avessero diritto di sapere cosa stanno facendo dei pubblici funzionari. Nemmeno quando stanno operando in un luogo che più pubblico non si può e sotto gli occhi di tutti.

Mettiamola così: alla Soprintendenza sono maestri della suspense. Piace loro creare grandi aspettative. Salvo che poi la soluzione del giallo non arriva mai. E’ successo per gli scavi in piazzetta San Martino, dove alla fine l’unica descrizione di quanto ritrovato è arrivata dal Comune di Rimini; da Ravenna nemmeno una riga. Silenzio – è il caso di dirlo – di tomba, invece, sulle sepolture pre-romane ritrovate alla Grotta Rossa, con tanti di carro principesco, forse piceno.

Ma tornando a quanto si può vedere nell’area degli scavi di piazza Malatesta, sul fianco e sul retro del Teatro Galli, le aree dove stanno lavorando gli archeologi sono almeno tre, ricoperte con teli di plastica. Inoltre sono ben visibili alla luce del sole alcune grosse murature.

Cosa sono? Per alcune scoperte non possono esserci dubbi ed era anzi certo che sarebbero riemerse. E’ quanto rimane della cinta muraria esterna di Castel Sismondo.  Una cortina di bastioni e baluardi che fu sciaguratamente abbattuta nel 1826; le macerie servirono per riempire e cancellare il fossato che circondava la rocca malatestiana. Fu in quell’occasione che fu demolita anche una delle grandi torri del corpo principale, quella più protesa verso la città. Una volta snaturato del tutto, il vanto di Sigismondo Malatesta era pronto per divenire un lugubre carcere, come di fatto avvenne quasi subito e poi ufficialmente dal 1857.

La rocca malatestiana con i suoi bastioni esterni e Santa Colomba nel 1616

Le fondamenta dei bastioni sono ora riemerse, con i loro muri inclinati verso l’esterno, a pochi metri dal retro del teatro Galli. Giacevano appena sotto l’asfalto. Ma c’è dell’altro.

Proprio al centro dell’area interessata dai lavori, parallelamente al fianco del teatro, si scorge la base di un grosso muro, lungo parecchi metri. Inoltre una delle aree ricoperte dai teli degli archeologi disegna un perimetro di circa una decina di metri quadrati. Si trova esattamente di fronte alla ex cattedrale di Santa Colomba e pare proprio appartenere a un edificio. Infine ci sono, come detto, altri due punti posti sotto la protezione dei teli, più circoscritti.

Via libera dunque alle ipotesi. Innanzi tutto, esclusi i bastioni della rocca, tutti gli altri reperti devono essere anteriori al 1437, anno in cui Sigismondo dette il via alla costruzione della sua residenza fortificata. Da allora in poi, tutto quegli spazi sono rimasti liberi dalle costruzioni. Era la “piazza del Corso”, così detta perché fin dall’epoca romana vi passava una strada dedicata al traffico dei carri più pesanti, risparmiando così la via principale, ovvero il cardine massimo (via Garibaldi). Entrava nella città da una una porta che nel medio evo fu chiamata del Gattolo, poi inglobata in Castel Sismondo dove, pur con difficoltà, è tutt’ora visibile. Le tracce della strada sono state rinvenute durante i lavori del Galli.

Dai documenti sappiamo cosa si trovasse in quei paraggi, ma finora ignoriamo in quale punto preciso. Si sa che Sigismondo per costruire il suo castello fece abbattere il battistero, che risaliva all’epoca “bizantina”, e l’episcopio della cattedrale. Sarebbe stato raso al suolo anche un convento di monache dedicato a Santa Caterina; ma qualcuno lo colloca in un’altra parte della città. Il signore temeva che tutte queste costruzioni sarebbero venute utili a chi volesse assalire il suo castello. Ma dovevano trovarsi in altra posizione rispetto all’area degli scavi attuali, all’incirca sul lato della piazza edificato a fianco dell’ex duomo di Santa Colomba. O almeno così si era ipotizzato fino a ora: e se invece ci si fosse sbagliati?

Cosa c’era prima di Castel Sismondo nell’ipotesi di Pier Gi0rgio Pasini (in “Rocche e castelli di Romagna – III”, 1972)

Inoltre dai documenti risulta che prima di Castel Sismondo quell’area era occupata da un vero e proprio “quartiere malatestiano”, formato dalle costruzioni che i signori di Rimini erano andati erigendo nel tempo. Dalla casa-torre concessa alla famiglia ai primi del ‘200, quando prese la cittadinanza riminese, alle residenze trecentesche di Ferrantino Malatesta (1270-1355) e del ramo pesarese della dinastia. Poi viene citato un grande palazzo dei Belmonti delle Caminate, alleati di ferro dei Malatesta fin dalla loro conquista della città il 13 dicembre 1295 (quando Lodovico delle Caminate ci lasciò la pelle). Il palazzo fu distrutto da Galeotto Roberto nel 1431 perché Ludovico V figlio di Belmonte VIII non riconosceva come eredi di Carlo Malatesta lo stesso Galeotto Roberto ed i fratelli Sigismondo e Domenico, figli illegittimi di Pandolfo III. Quanti di questi edifici furono inglobati nel nuovo Castel Sismondo e quanti invece sorgevano esternamente? Non lo sappiamo.

Non bastasse, ci troviamo di fronte – o meglio, alle spalle – dell’antichissimo duomo di Santa Colomba, che mostrava le sue tre absidi sulla piazza del Corso, avendo invece la facciata rivolta verso l’esterno della città. Come presso tutte le chiese medievali e le cattedrali innanzi tutte, l’area circostante era cosparsa di sepolture. Alcune sono emerse durante i lavori di ricostruzione del Teatro Galli e il ritrovamento di una necropoli medievale in quel sito non meraviglierebbe affatto. Come non meraviglierebbe il riemergere di fosse granarie che i canonici della cattedrale avevano realizzato nei dintorni del duomo: ne sono documentate almeno sette.

Ancora, si sa che in quel luogo c’era il Monte della Croce dell’Olmo, un poggiolo in cui era infissa una grande croce, presso la quale venivano letti editti e rogati documenti. Accanto, una celletta dedicata alla Beata Vergine. E anche alcune piccole abitazioni private fra le due piazze.

Infine, è buio assoluto sull’aspetto di quel luogo in epoca romana. Si ipotizzava che vi esistesse anche nell’antichità uno spazio aperto: una seconda piazza oltre al Foro (Piazza Tre Martiri) cioè il Campo Marzio, destinato alle esercitazioni militari. Ma il ritrovamento di una domus, sempre duranti i lavori del Galli, hanno dimostrato che invece almeno parte della piazza era edificata. Quanta parte? Fatto sta che i cronisti del passato hanno annotato più volte nel corso dei secoli il ritrovamento di testimonianze antiche, comprese colonne (come proprio durante lo scavo di una fossa granaria proprio a ridosso dei bastioni, nel 1484) e marmi pregiati, proprio dove si sta scavando ora. Quanto restava del presunto tempio di Ercole che il primo vescovo di Rimini, Stemmio, secondo la tradizione aveva riconvertito in duomo?

Sono insomma davvero tante le domande suscitate da questi scavi. Si attendono le risposte la massima curiosità.

Stefano Cicchetti

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