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Coronavirus, l’allarme di Fipe Confcommercio: “In Italia 50.000 pubblici esercizi rischiano chiusura definitiva”

L’emergenza Covid-19 rischia di diventare il fine vita di molti pubblici esercizi in tutta Italia e in particolare sul nostro territorio che vive di turismo, settore in crisi profonda per le misure di distanziamento sociale. Da una stima del Centro Studi FIPE-Confcommercio – spiega il presidente provinciale Gaetano Callà – il nostro settore rischia la perdita di 21 miliardi di euro di fatturato nel 2020, con il rischio di chiusura definitiva per oltre 50.000 aziende e la perdita di 300.000 posti di lavoro. I freddi numeri sono fatti da una realtà che ci preoccupa davvero: il nostro settore negli ultimi anni ha visto tanti giovani investire tutto e ora intere famiglie si trovano nell’incapacità di avere una prospettiva rischiando di vedere compromesso il loro futuro. La chiusura di un’azienda lascia segni indelebili su numerose famiglie”.

Eccolo l’allarme lanciato da Fipe – Confcommercio, in Provincia presieduta da Gaetano Callà a proposito della chiusura forzata e necessaria delle attività in seguito all’andamento dell’epidemia da coronavirus.

Parliamo di “un quadro avvilente che ci rende oltremodo delusi se sommato alla mancanza di risposte concrete e mirate da parte del governo, giudicate “insufficienti e parziali” dal 96% delle nostre imprese della ristorazione, bar, intrattenimento e discoteche, catering, stabilimenti balneari e fuori casa d’Italia”.

La FIPE ha avanzato direttamente, insieme a Confcommercio, numerose richieste alle forze politiche per dare la possibilità a migliaia di imprese di non morire. “Purtroppo al momento le risposte non sono state quelle sperate – spiega Callà – per questo, continuiamo a chiedere con forza il contributo a fondo perduto per gli esercizi forzatamente chiusi, parametrato all’effettivo fatturato medio degli anni precedenti come indennizzo parziale dei costi sostenuti, la cancellazione dei pagamenti di tutti i tributi locali e nazionali dovuti nel periodo dell’emergenza, un sostegno finanziario al pagamento degli affitti e l’ampliamento del credito d’imposta per tutto l’anno sui canoni di locazione commerciale che includa tutte le tipologie di immobile e l’affitto d’azienda e di ramo d’azienda, più l’intervento su tutti i contratti in essere, compresi quelli con i fornitori”.

Da Fipe Confcommercio la richiesta è anche quella di rivedere l’uso degli spazi aperti.

“Per quanto riguarda gli spazi, anche su suolo pubblico, chiediamo alle amministrazioni locali la possibilità di concederne temporaneamente di ulteriori ai pubblici esercizi. Penso agli spazi all’aperto attigui alle attività, o nelle zone a traffico limitato e nelle aree pubbliche, che potrebbero venire utilizzate dagli esercizi per mantenere la propria capacità di lavoro. Il tutto dovrà essere un rilancio a burocrazia e costi zero: le nostre imprese non hanno possibilità di far fronte ad ulteriori adempimenti, né di pagare le imposte locali imponenti come occupazione suolo pubblico e tassa sui rifiuti”.

Nell’immediato, chiediamo la possibilità per i nostri ristoranti di lavorare con l’asporto rispettando tutti i parametri di sicurezza. Il take-away con ritiro in loco e consumo presso la propria abitazione, secondo le disposizioni che si usano per fare la spesa, permetterebbe infatti di riaprire da subito altre attività rispetto a quelle che si sono già organizzate per lavorare almeno parzialmente grazie al delivery. Che in Provincia di Rimini – e questo almeno mi rincuora – sta funzionando“.

 

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