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L’Amarcord di Matteo Brighi

In una lunga intervista a Lorenzo Buconi,  il calciatore riminese Matteo Brighi racconta i suoi 35 anni, ripercorrendo le tappe della carriera.

Sempre modesto, Matteo spiega subito il suo modo di vedere le cose“Un domani vorrei essere ricordato per l’aver provato a fare sempre il massimo, mi basta questo”.

Per Brighi, che non vuol sentir parlare di tatuaggi e non ama i giochi elettronici, le cose davvero importanti sono “i valori che mi ha inculcato la mia famiglia e che mi sono serviti da guida in tutto quello che ho fatto. Questo mondo secondo me è diventato troppo televisivo e appariscente. Servirebbe più umiltà ed educazione, quando ero giovane ai campioni di 30 anni si dava del ‘lei’ nello spogliatoio. Oggi un ragazzo di vent’anni può fare e dire quello che vuole. Fa due partite bene e già ha la scarpa col nome. Ricordo alla Juventus c’era la possibilità di cambiare le scarpette una volta a settimana. Io mi sentivo spiazzato, ‘ma perché devo cambiarmele che le ho prese pochi giorni fa e sono ancora nuove?’. I giovani di adesso invece se le cambiano continuamente, tanto mica le pagano loro”.

Ma ecco il racconto della sua storia calcistica. Che inizia con un “no” clamoroso“Dopo aver fatto un mezzo anno con il Rimini in C venne a cercarmi la Juventus. Io dissi ‘no’, volevo rimanere qua e fare l’ultimo anno di superiori. Fu una decisione strana, avevo 17 anni. Ma il mio era un ‘no di speranza’. Della serie – racconta Brighi ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – ‘se sono bravo ribusseranno alla mia porta’. Maggio dell’anno successivo…”. Toc…toc? “Sì! Come la mia risposta. Mi ero preso il diploma da Ragioniere ed ero pronto”.

Intanto, passa un’estate sì memorabile, ma lontano dai campi di calcio: “Facevo l’animatore nei vari campeggi estivi. Ho ricordi bellissimi, era una cosa che accresceva me nella speranza di dare anche qualcosa agli altri. Mi è sempre piaciuto stare con i bambini, se non avessi sfondato nel mondo del calcio avrei fatto il maestro. Mi trasmettono gioia e armonia”.

Ma poi si fa sul serio: è la Juventus, signori: “Nei primi allenamenti mi impressionò Zidane, faceva le cose più difficili con una semplicità unica. Poi gente come Davids e Montero che trainava lo spogliatoio, non ti faceva sgarrare di una virgola. Il primo giorno li è stato come quando porti un bambino a Gardaland per la prima volta. Come il fanciullino di Pascoli, ero ammaliato e stupito da tutto. Ogni giorno una scoperta nuova, bellissimo. Ad ogni allenamento mi brillavano gli occhi. Con la mia timidezza e la mia paura di dire qualcosa che magari potesse risultare sbagliato, stavo lì al mio posto, provavo ad ascoltare ogni consiglio e la sera raccontavo tutto a mio fratello. In quelle lunghissime chiacchierate al telefono…”.

Poi Roma. Un luogo che Matteo ama tantissimo: “Una città fantastica, eterna appunto. Quando esci per le vie del centro o vai al Colosseo senti sulla pelle la maestosità della storia, l’eco dell’Impero. Sei al centro del mondo. Nella squadra poi ho capito tante cose che magari prima non riuscivo a comprendere perché ero troppo giovane. Roma è Roma che altro bisogna aggiungere? La gente ti fa sentire la passione per la maglia e per i colori giallorossi dalla mattina quando vai a fare colazione al bar alla sera che vai a dormire. Il clima è quello della partita perenne, bellissimo. E poi anche lì ho conosciuto tanti campioni”.

E ancora: “Checco (Totti) a livello umano è eccezionale. Anche se sei l’ultimo arrivato lui non ti fa mai sentire che è Totti, uno dei giocatori più forti della storia. E’ uno spontaneo e sempre pronto a fare scherzi. Ricordo ancora i questionari di cultura generale che preparavamo per Okaka e Cerci. Non vi dico le risposte…e le risate! Poi c’era Spalletti che è un altro sanguigno, schietto. Dalla mattina presto alla notte, per qualsiasi cosa lo trovavi a Trigoria con il suo staff. La doppietta in Champions contro il Cluj è stato il mio ricordo più bello, la maledettissima partita contro la Sampdoria quello più brutto. Se non ci si fosse messo Pazzini, avremmo vinto lo scudetto”.

Di nuovo a Torino, ma con i granata (“ma non ho mai sentito il passaggio dalla Juventus perché non credo di aver lasciato molti ricordi lì”) e ora Perugia: “Si è creato un gruppo fantastico, ogni tassello è armoniosamente al suo posto. E poi c’è mister Bucchi che ha la voglia di un ragazzino e la mentalità di un allenatore già affermato. Qui c’è tutto per fare bene, siamo tutti in simbiosi. Manca soltanto che Dezi paghi la cena…”.

Una sola nostalgia: “Mi mancano i tempi in cui facevo l’animatore, ormai i bambini sono tutti cresciuti spero solo si ricordino di me”. 

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