Il 2 aprile 1832 Ottavio Zollio, “patrizio e vescovo riminese, morì d’anni LXXI; ebbe uffici anche fuori d’Italia, fece ripristinare l’Università d’Urbino, della quale fu Visitatore Apostolico”.
La famiglia Zollio era di origine bergamasca. Marcantonio Zollio, nato a Bergamo e ascritto al patriziato veneziano, era stato vescovo di Crema dal 1684 al 1702. Marco Antonio Zollio era stato invece vescovo di Rimini dal 1752 al ’57.
Nato a Montegridolfo il 12 (o 13) ottobre 1760 Ottavio era figlio del conte Giovan Battista Zollio e della nobildonna riminese Silvia Gironi. I conti Zollio avevano il loro grande palazzo a Rimini all’attuale Corso d’Augusto 115; era già stato dei Ripa, passerà poi ai Salvoni e vi si conservava un autentico tesoro di opere d’arte, a cominciare da dipinti del Guercino.
Consacrato sacerdote il 20 settembre 1783, Ottavio compie gli studi al Collegio Nazareno di Roma (fondato nel 1622 dal cardinale riminese Michelangelo Tonti). Diventa, giovanissimo, Canonico della cattedrale di Rimini. Nel 1801 è Vicario Generale della diocesi riminese. In tal veste partecipa alla Consulta di Lione, in rappresentanza del vescovo Vincenzo Ferretti. Poi nel 1805 accompagnerà lo stesso Ferretti a Milano dal vicerè d’Italia Eugenio Beauharnais, ottenendo fra l’altro la facoltà di trasferire la cattedrale da Sant’Agostino al Tempio Malatestiano. Ma dovrà assistere il vescovo anche nel ridurre le parrocchie della città.
“Addottrinatissimo nella Scienza Ecclesiastica” lo definisce don Gaetano Vitali nelle sue “Memorie storiche” di Montefiore Conca (1828). L’avvocato riminese Domenico Missiroli lo dice “dotto, affabile, misericorde, prudente”. Nel 1822 diventa vescovo di Pesaro.
Ottavio Zollio è consacrato vescovo di Rimini il 24 maggio 1824.
Il 10 dicembre 1830 consegna a Maria Elisabetta Renzi e alla sua comunità le regole delle Maestre Pie Filippini di Roma, già approvate da papa Clemente XI, e il nome di “Maestre Pie dell’Addolorata”.
Il 19 febbraio 1831 il vescovo Zollio scrive un editto al “dilettissimo suo popolo” per esprimere “il contento da cui è inondato” il suo cuore, “alla vista dell’ordine, della tranquillità e pace” che regnavano in città. Richiamato il “dolce precetto lasciatoci per testamento da Gesù Cristo, di amarci scambievolmente come egli ci amò”, il vescovo prosegue: “Continuate costantemente, o figli, a battere il sentiero della pace: e voi specialmente, laboriosi cultori dei campi, non date luoghi a sospetti che si mediti strapparvi dai vostri quieti focolari per condurvi violentemente fra lo strepito delle armi”.
Questo quadro idilliaco viene dipinto mentre è in corso una rivoluzione: infatti, il 5 febbraio le Legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì (di cui fa parte Rimini) e Ravenna hanno dichiarato la secessione dallo Stato della Chiesa. In rivolta anche le Legazioni delle Marche e dell’Umbria, mentre i “liberali” che hanno proclamato le Province Unite Italiane vanno a combattere i “papalini” fino al reatino.
Ma c’è anche chi – e certamente nelle campagne sono la maggioranza – non sta dalla parte della rivoluzione. Sulle orme degli “insorgenti” anti napoleonici, i contadini si organizzano in bande dai metodi spicci per difendere il Papa Re dai repubblicani. Ebbene, il vescovo Zollio parla di costoro come “difensori della religione, nemici dei liberali, ma soprattutto bramosi di denaro“. E invece così esorta i suoi fedeli: “Fidatevi dei magistrati, che con tanto zelo vegliano sulla vostra sicurezza, e riposate sulle provvide cure di quel Dio, che si compiace di chiamarsi il Dio di pace e di amore”; dove i magistrati sono quelli appunto liberali e repubblicani delle Province Unite Italiane, l’effimero stato creato dai rivoluzionari che avevano dichiarato finito il potere temporale del Papa. Ma Zollio rassicura anche loro: ha raccomandato ai parroci del forese di mantenere la pace e la tranquillità nel contado.
Al che il vicario Brioli, il vescovo e il vicario foraneo di Pesaro, il canonico Lanzoni di Cesena e l’ex governatore di Rimini Vincenzo Grassi, denunciano a Roma Zollio e altri cinque sacerdoti diocesani, come fautori delle idee liberali.
Scrive Antonio Montanari: “In un saggio (1860) di Atto Vannucci sui martiri della libertà italiana tra la fine del 1700 e la prima metà del sec. XIX, si ricorda che Zollio ed il suo collega di Cervia si contrappongono alla Santa Sede nell’offrire un’immagine positiva della situazione. Nelle loro “pastorali stampate attestarono al mondo l’ordine, la concordia e la pace che regnavano fra tutti gli insorti” che il cardinal Bernetti chiamava ‘ribaldi, scellerati e ladri’. Giuseppe La Farina (Storia d’Italia dal 1815 al 1850, II, pp. 93-94) ricorda che Zollio, con la pastorale del 19 febbraio, sbugiarda il cardinale Bernetti, invitando i “laboriosi cultori de’ campi” a non dar “luogo a’ sospetti che si mediti di strapparvi dai vostri queti focolari per condurvi fra lo strepito delle armi”.
Zollio ben presto finisce nell’elenco di quei religiosi sospetti d’intesa con il nemico politico della Chiesa, che qualcuno vedrebbe ben volentieri colpito da censura ecclesiastica.
Come scriveva Giulio Cesare Mengozzi nel foglio riminese “Il diario cattolico” dell’11.4.1936, nell’estate del 1831 a Rimini appare una nota sui sacerdoti (presunti) “scomunicati” quali “fautori e aderenti agli atti” d’insubordinazione dei liberali riminese, contenente pure il nome del vescovo Zollio“.
Ma Zollio resta al suo posto. La sua moderazione e il suo spirito conciliante, teso innanzi tutto a evitare o almeno limitare lo spargimento di sangue, a Rimini come a Roma sono molto più apprezzati dei fomentatori di scontri.
E ce n’è bisogno, perché anche dopo la battaglia delle Celle e la fine dello stato repubblicano, la tensione è ancora alta in tutta la Romagna. Il 5 giugno di quel 1831 a Rimini c’è un “gran tumulto” dei liberali al grido di “Morte al Papa, ai Cardinali e Preti”. Le manifestazioni proseguono per un mese e oltre: “tutta la città era presa da nuovi timori e da nuove angustie”. E il 10 luglio, annota il cronista Filippo Giangi “quattro ne rimasero feriti lievemente ed uno mortalmente che è un giovane Federici figlio di pescivendolo. Gli altri sono: P. Bagli di Pellegrino, Pagliarani di Fortunato, Patrignani Fabbro ed un altro che è noto”. Nel gennaio 1832, in occasione dell’ennesima sollevazione, le truppe papaline avrebbero commesso le stragi di Cesena e Forlì.
Il prete Giuseppe Cappelletti, in “Le Chiese d’Italia dalla loro origine fino ai giorni nostri” (Venezia, 1844), scrive di Zollio: “Questo dotto e pio vescovo, la cui memoria è in benedizione nell’animo dei riminesi, compì fedelmente le parti di zelante pastore col correggere i disordini, coll’estirpare gli abusi, col porre nel miglior lustro l’ecclesiastica disciplina”.
Ma alla sua morte diventa vescovo lo spoletano Francesco Gentilini: “Né di lui – prosegue Cappelletti – né del suo governo io voglio parlare; troppo il suo amore per l’eccessivo lusso, il suo imperioso trattare, il suo sconsigliato modo di regolare gli affari lo resero oggetto delle dicerie, degl’insulti, dell’odio di tutto il suo gregge: non trovai un solo in Rimini, che gli fosse amico. E poiché da siffatte cose danno gravissimo alla religione veniva, e scandalo incalcolabile, il regnante pontefice lo indusse a chiedere di essere sollevato dal peso della vescovile dignità“.