Il 22 giugno 1614 viene inaugurata a Rimini la statua di bronzo dedicata a Papa Paolo V. Come rammenta Carlo Tonini, è allora che la piazza della Fontana (piazza Cavour) assume le dimensioni attuali: «al quale effetto furono atterrate le case, che tuttavia sorgevano presso la pubblica fonte». Cioè viene raso al suolo un intero isolato che fino ad allora occupava la porzione della piazza rivolta al Corso; e non erano solo case, ma anche l’antica chiesa di San Silvestro, i portici sotto cui tenevano banco i notai e, forse, anche una sinagoga.
La statua, prosegue Tonini, «secondo il modello del Cordieri detto il Franciosino, che per morte non avea potuto eseguirla, era stata fusa ed a perfezione condotta da Sebastiano Sebastiani di Recanati: e il nostro Raffaele Adimari, notissimo autore dell’operetta intitolata ‘Sito riminese’, dietro incarico avutone dal patrio Consiglio, trasportavala felicemente per la via del mare da Recanati a Rimini».
Collocata sopra il suo piedistallo di marmo disegnato da Giovanni Arrigoni, la statua fu scoperta al pubblico quel 22 giugno «dopo i vespri, al cospetto del card. Legato, e di un numeroso popolo accorso anche dalle città vicine, al suono delle campane e delle trombe, al battere de’ tamburi, al rimbombo de’ moschetti e delle artiglierie, o di una particolare salva delle soldatesche ivi schierate, le quali in pari tempo diedero bello spettacolo di sè con maestrevoli esercitazioni militari».
È il Clementini, testimone oculare, che annota il peso della statua,«libbre 7300» (circa 2.500 kg), e il costo: «la somma di scudi 3619, baiocchi 77 e denari 6».
Difficile valutare a quanto possono corrispondere oggi 3.600 scudi e passa; molto, ma molto approssimativamente, una cifra intorno ai 350 mila euro. Che però all’epoca potevano valere di gran lunga di più, visto che con 200 scudi ci si poteva comprare una casa in città e di tutto rispetto.
Spesa del resto giustificata dalla qualità dell’opera d’arte: altissima, sia nella modellatura che nei materiali e nella tecnica di fusione, come evidenziato anche durante gli interventi di restauro effettuati nel 2003.
In effetti la bellissima statua gravò per anni sull’asfittico bilancio della città. Ma perché Rimini volle prodursi in uno sforzo simile? Per quali ragioni considerava Paolo V “benefattore della città”, come si legge nel basamento?
La motivazione ufficiale si legge nel verbale della seduta comunale del 22 ottobre 1610, quando il Consiglio propose per la prima volta l’erezione di una statua in onore del Papa, in marmo:
«[…] Quanto questa nostra Città di Rimino sia obbligata alla Santità di Nostro Signore Papa Paolo Quinto hora regnante, dalla benignità del quale non solamente sono stati essaltati alla dignità del vescovato nostri cittadini Riminesi, come Monsignor Illustrissimo Hettore Diotallevi vescovo di Santa Agata in Regno di Napoli, Monsignor Illustrissimo Luca Sempronio vescovo di Città di Castello, ma anche al Cardinale Monsignor Illustrissimo Michelangelo Tonti, prima creato Arcivescovo di Nazarette: et in oltre Monsignor Illustrissimo Pietro Pavoni Mastro di Camera, e Secretario dei Memoriali di Sua Santità, il Signor Giulio Pavoni Mastro di Camera dell’Illustrissimo Signor Cardinale Borghese Nipote di Sua Beatitudine, il Signor Francesco Baldi secretario prima degli Eccellentissimi fratelli, et hora del Signor Marc Antonio Borghese Nipote della medesima Santità Sua, et altri posti in altre dignità nella medesima Corte. Perciò, per mostrare qualche segno di gratitudine, quanto si può maggiore, sarebbe bene d’erigere una statua di marmo alla Santità Sua […]».
Fra questi riminesi beneficiati dal Papa, vale la pena conoscere meglio colui che quasi certamente fu il principale promotore del monumento: Michelangelo Tonti.
Dalla scheda di Francesca Nanni (“Paolo V in Rimini – il monumento di un Papa tra storia e restauro” in “L’Arengo Quaderni”, dicembre 2004) apprendiamo che Tonti era nato nei pressi di Rimini da famiglia modesta nel 1566; si era addottorato all’Università di Bologna in diritto, distinguendosi sin da giovane per acume e capacità diplomatiche. Trasferitosi poi a Roma, entrò in contatto con Francesco Borghese, che lo introdusse presso i fratelli, Orazio e Camillo, di cui divenne intimo giungendo a curare gli interessi di famiglia. Quando nel 1605 Camillo divenne papa, la fortuna di Tonti fu assicurata: nel 1608 fu nominato arcivescovo di Nazareth (da cui il soprannome di «cardinal nazareno») e nello stesso anno Paolo V gli conferì la porpora cardinalizia. Come sottolinea il Rigazzi, Tonti «seppe fabricarsi la fortuna da sé stesso», ma la sua ascesa all’interno della carriera ecclesiastica, incredibilmente repentina e non giustificata da titoli nobiliari, divenne in breve oggetto di molte invidie all’interno della Curia, tant’è che nella capitale si diffuse la pasquinata «Paulo sedente, Tonto regnante».
La vita di corte era però complicata e vieppiù quella della corte papale. Per qualche ragione Tonti si inimicò il nipote del Papa, Scipione Borghese (il primo protettore di Caravaggio) di cui pure era stato precettore. Il Cardinal Nazareno fu costretto a tornare in Romagna nel 1612, per dedicarsi esclusivamente a Cesena, di cui era vescovo da tre anni. Passando per l’occasione dalla sua Rimini, Scipione vietò ai riminesi di festeggiare il concittadino; divieto che fu puntualmente disatteso.
Tonti morì nel 1622, lasciando buona parte dei suoi beni al Collegio Nazareno, da fondarsi per sua volontà a Roma al fine di curare l’educazione di giovani poveri tramite le scuole pie. In parte di quel Collegio ha oggi sede nazionale il Partito Democratico.