Ai primi del ‘500 il dominio malatestiano sul Montefeltro era ormai un ricordo. Dopo l’umiliazione di Sigismondo del 1463, quella che era stata la culla della sua famiglia era ormai passata quasi tutta nel Ducato d’Urbino. Ma nonostante la fine della faida secolare fra riminesi e urbinati (e la fine del potere per le due famiglie dominanti e rivali, i Malatesta e i Montefeltro, questi ultimi estinti) la pace per quelle terre era ancora un miraggio. E verso la fine di febbraio del 1523 vi si abbatté la più temuta fra le sciagure di allora: un enorme esercito guidato niente di meno che da Ludovico di Giovanni de’ Medici, il terribile Giovanni delle Bande Nere, da tutti allora conosciuto come “il Gran Diavolo”.
Il Ducato d’Urbino era passato ai Della Rovere nel 1513. Ma Papa Giulio II aveva appena fatto in tempo a firmare l’investitura a suo nipote Francesco Maria, che venne a mancare, nella notte tra il 20 e il 21 febbraio.
Con il suo successore, il cardinal Giuliano de’ Medici che prese il nome di Leone X, tutto cambiò. Per prima cosa il nuovo pontefice assicurò il grado di capitano generale delle milizie ecclesiastiche ai suoi familiari (dapprima Giuliano de’ Medici, poi Lorenzo), estromettendo Francesco Maria. Poi si impegnò alacremente per far pervenire il Ducato d’Urbino alla sua famiglia.
I motivi di attrito tra Medici e Della Rovere? Due minuscoli stati, perché tali erano a tutti gli effetti: le contee di Carpegna e Gattara, “raccomandate” di Firenze (che aveva ottenuto anche il diritto di annessione delle due signorie in assenza di eredi maschi) ma ben al di qua dell’Appennino, quasi interamente circondate dai domini rovereschi.
Francesco Maria viene messo sotto processo per una lunga serie di accuse, vere, verosimili o inventate: uccisione nella pubblica via del cardinale Alidosi; rifiuto di inviare soldati nell’esercito ecclesiastico, accordi segreti con i nemici della Chiesa; tentativo di passare al servizio del re di Francia; rifiuto di passaggio nei suo Stati a soldati della Chiesa; angherie nei confronti di militari pontifici in fuga dopo la battaglia di Ravenna.
Nel 1516 l’epilogo sembra scritto. Il Ducato d’Urbino è invaso, ù Urbino e Pesaro occupate, Francesco Maria in esilio a Mantova.La campagna è anche il battesimo del fuoco per quel diciottenne Lodovico che in memoria del padre, Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano, si fa chiamare Giovannino; la madre è Caterina Sforza, figlia illegittima del duca di Milano Galeazzo Maria e signora di Imola e Forlì. Lui stesso è nato a Forlì; comanda una compagnia di cavalleria. Il 1 settembre 1516, Leone X assegna il Ducato al nipote Lorenzo de’ Medici.
Ma non è affatto finita qui. Mentre a Firenze si festeggia con “fochi e le consuete allegrezze”, il Della Rovere non si perde d’animo. Si fa aiutare dagli amici rimasti, iniziando dai Francesi e dai Gonzaga; raduna denari, arruola truppe e parte per la riconquista. Che si trasforma in una marcia trionfale, anche perché la popolazione è per lo più dalla sua parte. Già che c’è assedia anche Rimini e anche se non riesce a prenderla devasta diversi castelli del territorio.
Dopo alterne vicende, Francesco Maria deve però battere in ritirata e rifugiarsi di nuovo a Mantova. Resiste solo San Leo, ma il 17 settembre 1517 è espugnata con un’azione clamorosa (scalando la rupe di notte, come rappresentato dal celebre dipinto del Vasari in Palazzo Vecchio). A quel punto la guerra di Urbino è terminata. E’ durata otto mesi, “con gravissima spesa e ignominia dei vincitori”: il Papa aveva consumato 800 mila ducati in poco più di un anno, una somma smisurata perfino in quei tempi di manica larga. Le finanze vaticane erano in ginocchio.
Basta così? Niente affatto. Appena Leone X muore, il 1 dicembre 1521, e prima ancora che sia eletto il suo successore Adriano VI (Adriaan Florenszoon Boeyens d’Edel, noto anche come Adriano di Utrecht, ultimo papa straniero prima di Karol Wojtyła), Francesco Maria parte da Ferrara per la nuova riconquista del suo Stato con 200 lance, 400 cavalli e 2200 fanti. Urbino, sottoposta dai Medici a un durissimo trattamento, era già in rivolta. Quando il Della Rovere il 17 dicembre arriva a Rimini, ormai tutte le città del Ducato, tranne Pesaro e Senigallia, sono già schierate dalla sua parte.
E la lotta ricomincia. Il 1522 trascorre con la “ripulitura” delle ultime sacche fiorentine in terra feltresca. Uno a uno castelli grandi e piccoli vengono ripresi con le buone o con le cattive. Nei primi mesi del 1523 gli scontri fra le truppe roveresche e quelle medicee in Montefeltro sono ancora favorevoli alle prime: Sebastiano Bonaventura di Urbino, prefetto delle truppe di Francesco Maria, vince a Monte Cerignone e poi occupa il castello di Penna. Ai Medici restano ormai solo San Leo e Maiolo.
Ma a questo punto arriva l’apocalisse, sotto forma dell’esercito di 15 mila uomini comandati da Giovanni dalle Bande Nere. Il quale applica i metodi che lo hanno reso famigerato: tra la fine di febbraio e i primi di marzo del 1523 sono prese, saccheggiate e date alle fiamme Carpegna, Castellaccia e Penna; sono “solo” saccheggiati i castelli di Libiano, Torricella, Sartiano, Talamello, Maiolo, Perticara, Montecopiolo, Monte Boaggine, Pietrarubbia, Montecerignone, Pietra Maura e Serra. Resta invece nei secoli il ricordo dell’eroica resistenza di Frontino ai medicei. Qui l’avanzata di Firenze si blocca e si giunge a un nuovo stallo.
Ma per fortuna, questa volta basta davvero. Entrambe le parti non ne possono più. Il Collegio dei Cardinali e Francesco Maria si accordano: il Duca si impegna a non molestare lo Stato della Chiesa, Siena o Firenze; a prestare servizio, a richiesta, nell’esercito ecclesiastico; a consegnare il figlioletto Guidubaldo al marchese di Mantova come ostaggio. Il Collegio mette sotto la sua protezione le terre del Duca e si impegna ad ottenere dal papa una nuova investitura per tutti i territori a favore di Francesco Maria. E così è. Tutte le terre feretrane tornano al Duca ad eccezione di San Leo e Maiolo; Francesco Maria “accetta” di prestare servizio, dal 25 maggio all’agosto 1523, quale capitano generale delle genti di Firenze con 200 uomini d’arme e la paga di 9000 ducati l’anno. In pratica, Firenze ne esce con le ossa rotte, Roma com le casse vuote e Francesco Maria vince su tutta la linea.
Quanto a Giovani delle Bande Nere, com’è noto morirà tre anni dopo a Mantova, appena 28enne, per l’infezione causatagli da un colpo di falconetto sparatogli dagli imperiali che si avviano verso il sacco di Roma. La sua storia ha ispirato innumerevoli artisti, scrittori e ben quattro film; l’ultimo è “Il mestiere delle armi” per la regia di Ermanno Olmi (2001).
I Medici dovranno restituire San Leo e Maiolo alla Chiesa nel 1631, proprio quando il Ducato di Urbino cessa di esistere. Ma un frammento fossile della signoria medicea è rimasto alla Toscana fino a oggi: è il fazzoletto di territorio incastonato nella provincia di Rimini intorno a Ca’ Raffaello in Valmarecchia, appartenente alla provincia di Arezzo e al Comune di Badia Tedalda.
Comprende anche l’antichissima e suggestiva rocca di Cicognaia, da cui si domina la confluenza del Presale nel Marecchia. Con 220 abitanti su 15 kmq, questa “isola” amministrativa è la più grande enclave che una regione italiana possegga entro i confini di un’altra.
Anche il territorio di Sestino, pur congiunto alla Toscana, fa parte dei bizzarri confini residuati dai conflitti di 500 anni fa. Strappato ai Della Rovere nel 1520, il nobile municipium fondato dai Romani è completamente al di qua della dorsale appenninica, nella valle del fiume Foglia e circondato da ogni lato dalla Regione Marche in cui è incastonato.
(nell’immagine di apertura, Giovanni delle Bande Nere nel ritratto di Gian Paolo Pace, detto l’Olmo)