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7 giugno 2015 – Torna alla luce Arduino da Rimini, Santo dimenticato di mille anni fa

Il 6 e 7 giugno 2015 a Rimini si effettua la ricognizione delle “Reliquie contenute nella cassetta proveniente dal monastero-santuario di S. Gaudenzo”. Sono presenti, don Giuseppe Vaccarini (dalla cui opera “L’antico santorale riminese: Studio e analisi eucologica di alcuni testi liturgici dell’XI-XVII Sec.” traiamo molte delle informazioni), don Gioacchino Maria Vaccarini, i dottori Stefano De Carolis ed Elisa Rastelli, Marcello Cartoceti, Learco Guerra e i membri della Commissione Ecumenica Diocesana: Rosanna Menghi, Gabriele Maioli e Luca Ghini. Si tratta di un secondo esame dopo quello, solo parziale, del 2012.

Alla fine risulta che la cassetta contiene i resti di almeno 19 corpi, di cui 15 adulti compreso uno scheletro completo di una donna di circa 50 anni; inoltre, un adolescente probabilmente di sesso femminile e tre bambini di pochi anni. Ci sono anche ossa frammentarie che potrebbero appartenere ad altre persone.

Chi sono? L’elenco a cui si giunge in base ai documenti è: Oliva, Lanfranco, Corona, Arduino, due corpi dei Quattro Coronati (Sinforiano, Claudio, Nicostrato e Castorio, martiri in Pannonia sotto Diocleziano), tre corpi dei Santi Innocenti (i bambini fatti uccidere da Erode), Valentino, Vittore, Abortina, Venerio, Innocenza (co-patrona di Rimini), Nereo, Achilleo.

Dunque qui vi sarebbe l’unica traccia rimasta di un Santo tanto venerato mille anni fa quanto dimenticato oggi: Sant’Arduino da Rimini. Non se ne era saputo più niente da quando, all’inizio dell’Ottocento, era stato distrutto il santuario di San Gaudenzo, che sorgeva dove ora c’è il Palasport Flaminio. Le reliquie provenivano da quel luogo, dove venivano venerate in arche e monumenti; dopo le distruzioni erano state raccolte nella cassetta da don Don Bartolomeo Quagliati, parroco di S. Giovanni, nel 1812.

Le notizie su Sant’Arduino giungono da una “Vita” scritta nell’XI secolo e dalle citazioni di San Pier Damiani nelle sue prediche, dove è portato a esempio di ogni virtù. Il grande moralizzatore della Chiesa del suo tempo – e fondatore fra l’altro, nel 1060, dell’abbazia di San Gregorio al Conca presso l’odierna Morciano – vedeva nei riminesi Arduino e Venerio, come nel suo modello e concittadino ravennate San Romualdo, il fondatore dei Camaldolesi, i precursori della riforma che propugnava. E cioè, una vita monastica durissima, segnata da autoflagellazione, recita quotidiana del salterio, quantità minime di cibo, lavoro manuale, umiltà, carità. E una vita ecclesiastica da cui fossero banditi il concubinaggio, la compra-vendita delle cariche, il lusso. Sopra ogni cosa, la “santa semplicità”, da preferirsi a ogni arroganza del sapere.

San Pier Damiani

San Pier Damiani

Arduino nasce a Rimini probabilmente verso la metà del X secolo. Riceve l’ordinazione presbiterale dal vescovo Uberto I (di cui si ha notizia nel 996), noto simoniaco, che aveva acquistato con l’oro la sua carica. “Eppure, l’ordinazione da parte di questo indegno prelato non impedì ad Arduino di vivere in modo esemplare e di morire in odore di santità”.

Pier Damiani, grande oppositore della simonia, poteva dunque trarre dal Riminese argomenti in favore di una sua tesi: l’efficacia dei sacramenti non dipende dai meriti di chi li amministra, bensì deriva dagli infiniti meriti del Cristo.

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Ipotesi ricostruttiva della chiesa di San Gregorio a Rimini (Carlo Valdameri)

Arduino diventa discepolo di Venerio, rettore della chiesa di San Gregorio (nel borgo San Giovanni, risalente al V-VI secolo). Entrambi si ritirano in un piccolo oratorio ceduto loro da un privato e dedicato a S. Apollinare (“est ecclesia extra muros huius urbis”, ma di questa chiesetta fuori città non si sa più nulla dopo allora). Conducono vita di penitenza e di preghiera, ma Arduino non esita anche a rimproverare aspramente davanti a tutti Rodolfo, conte di Rimini, colpevole di molestie ai poveri e di molti altri misfatti, tra i quali forse anche l’usurpazione di beni ecclesiastici. Inoltre devolve regolarmente le elemosine ai più bisognosi, accontentandosi di sopravvivere con i pochi avanzi rimanenti. “E venendosi spesso a trovare nella morsa delle tentazioni e, per vincerle, soleva rotolarsi nudo tra le ortiche“.

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Sempre su consiglio di Venerio, Arduino accetta dal vescovo Giovanni (citato nel 998), successore di Uberto, la carica di abate di S. Gaudenzo. Resterà nel santuario benedettino fino alla morte, avvenuta probabilmente il 15 agosto del 1009 quando vescovo di Rimini era Uberto II; e proprio nel giorno di Ferragosto si celebra la memoria di S. Arduino da Rimini.

La sua tomba diviene subito oggetto di venerazione e richiama di pellegrinaggi da tutta la Romagna, come testimonia di nuovo San Pier Damiani ricordando una folla proveniente dalla diocesi di Forlimpopoli per pregare sulle reliquie di Arduino.

Nel territorio riminese esistevano almeno due chiese dedicate a S. Arduino: una presso Mondaino, dipendente dalla pieve di S. Laudizio (Saludecio), ed era “S. Arduino in Val de Solecta: l’altra era sulla strada che va da Rimini a Coriano.

Altri due luoghi di culto a lui dedicati esistono ancora, entrambi in località impervie e bellissime del Montefeltro.

Uno è la chiesa del castello di Cicognaia, che sorveglia dal suo picco la valle del Marecchia alla confluenza del Presale. Viene ritenuta risalente al VII secolo, sorta su di un tempio pagano. Ristrutturata nel XVI secolo, conserva ancora l’abside preromanica. Nella cripta si vedono capitelli d’influenza ravennate. Sono rimasti anche frammenti di pavimentazione romanica, affreschi del XIV secolo e un tabernacolo medievale in pietra. Si hanno notizie del castello dal XIII secolo, quando apparteneva all’abbazia benedettina di San Michele Arcangelo dei Tedaldi. Ma il suo aspetto, a iniziare dalla torre cilindrica, ne denunciano un’origine molto più antica, forse durante le interminabili guerre fra i Longobardi di Spoleto e “Romani” di Ravenna che qui si disputavano i confini. Il castello di Cicognaia

Il castello di CicognaiaL’altro santuario è nel territorio di Pietrarubbia, isolato e semiabbandonato su di un ripido crinale lungo il torrente Apsa, purtroppo minacciato dalle frane. Pure questa chiesa faceva parte di un castello, denominato anch’esso S. Arduino; nel 1228 era di Buonconte di Carpegna quando si sottomise al Comune di Rimini. Nel 1978, durante lavori di ripulitura della cripta, furono trovati circa 65 scheletri ancora chiusi in sacchi di canapa e di lino, con vesti cinquecentesche. Alcune parti della pelle erano ancora conservate a seguito di un non raro processo di mummificazione anaerobica. Si trattava di laici sepolti nella chiesa nel 1587.

Nella parte vicina all’abside pochi decenni fa furono trovati altri scheletri disposti su scranni; dai paramenti che li avvolgevano si pensò che fossero stati gli antichi Rettori della Parrocchia. Sempre nella cripta, inserita in un muro divisorio, fu riconosciuto un rocchio di colonna di marmo d’epoca romana. Nel 1875 era stato individuato un affresco datato 1467 (nell’immagine di apertura) che nel 1954 fu staccato e collocato nel Museo diocesano di Pennabilli, dove tuttora si conserva.

S. Arduino di Pietrarubbia

S. Arduino di Pietrarubbia

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