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Zavatta, orizzonti di Rimini

Fino al 26 novembre, alla galleria d’arte Spazio Augeo, si terrà la mostra Linea d’orizzonte del pittore riminese Francesco Zavatta, in collaborazione con L’angolo della cornice di Gianluca Zamagni. Per l’occasione, abbiamo intervistato l’artista.

Partiamo dal titolo della mostra, nato da uno spunto del celebre critico d’arte Philippe Daverio: cosa rappresenta, per lei, la linea d’orizzonte?

«Per me, la tensione alla linea d’orizzonte è l’attesa di qualcosa che è al di là delle cose, che va oltre le cose. È l’attesa dello svelarsi di questo oltre. Philippe Daverio ha scritto il contributo audio-video che c’è in mostra, che dice: “Francesco Zavatta è proprio di Rimini, perché a Rimini hanno tutti una grande tensione alla linea d’orizzonte del sole nascente”. Ha quindi sottolineato proprio quest’aspetto della linea d’orizzonte…».

A proposito di Rimini, che effetto le fa poter esporre le sue opere proprio qui, nella sua città d’origine?

«Desideravo molto fare una mostra sul tema del mare a Rimini, e devo dire che l’inaugurazione è stata veramente un grande successo: ci sono state più di 300 persone… tantissime richieste ed anche vendite molto importanti, tra cui l’opera più importante, la più grande (180×250 cm), che è stata venduta subito. Un pubblico molto attento ma soprattutto capace di valorizzare un’artista molto giovane come me. A me ha dato un’impressione molto positiva. La mia pittura sta crescendo molto, e questa è la cosa più importante per un artista; sono ancora più contento perché, oltre alla qualità, c’è anche riscontro di pubblico».

Prima ha parlato di “ciò che è al di là delle cose”, di questo “oltre”: a cosa si riferisce in particolare? Ci faccia un esempio.

«Faccio l’esempio di un’opera in mostra, che si chiama Silenzio dopo la tempesta: rappresenta proprio il momento in cui la tempesta è finita e sta per arrivare il bel tempo. È un’opera in cui appunto questo “altro” si vede: c’è tutto il blu scuro del cielo che è ancora della tempesta… allo stesso tempo, però, si vede questo orizzonte bianco che riflette sull’acqua, che è proprio la luce che viene fuori. Per me questo “altro” è proprio lo svelarsi di una luce, di un tocco di colore, o comunque di un punto positivo».

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“Silenzio dopo la tempesta”, olio su tela, 100×250 cm

Acqua e la luce sono elementi chiave della sua opera. In che modo li ha rappresentati, in particolare, in questa mostra? Magari in un modo diverso rispetto alla tradizione? Io ad esempio, quando penso all’acqua e alla luce in pittura, ho sempre ben in mente Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio…

«Per la mia formazione personale, ho guardato tanto i maestri e quindi sicuramente ho imparato da loro. Sì, per esempio, Caravaggio è un ottimo punto di partenza. Ma anche nei giorni nostri… ad esempio, sono stato di recente al MOMA di San Francisco: c’era tutta una sala dedicata all’arte tedesca, e c’era un’opera in particolare di Gerhard Richter… lui dipinge l’acqua in un modo, chiaramente, completamente diverso dal mio. Sicuramente io sono molto attaccato a quella che è la tradizione, che cerco di fare mia, a mio modo. La cosa interessante di questa mostra è che sono tutte opere sul tema del mare, e sono tutte visioni molto aperte di acqua ma anche di cieli che si aprono. Mi interessa proprio immergermi in queste visioni, perché è proprio in queste linee d’orizzonte che ritrovo di più il mio modo di vedere le cose».

Lei ha dichiarato: «prima la città era solo uno sfondo per il mare o la laguna, invece con Milano la città è entrata prepotentemente nella tela». Come cambia (se cambia), in un pittore come lei, l’approccio ad un paesaggio antropico piuttosto che ad uno naturale?

«Sono stati approcci per certi aspetti diversi, perché sono rappresentazioni senza dubbio diverse: dipingere la città è sicuramente diverso che dipingere il mare. Lavorando sulla città ho dovuto cambiare in un certo senso regole, per cui essere molto più deciso nel segno dei palazzi. Questo lavoro continuo per capire come dipingere i palazzi, però, ha in un certo senso fatto venire fuori tutta la potenza del mio lavoro sull’acqua. Posso veramente dire che è stata una cosa sola. Se uno vede, ad esempio, il duomo di Milano come l’ho dipinto io – se lo vede bene – ci vede anche il mare: il cielo dietro al duomo è, di fatto, una grande ondata di acqua. Questa cosa qua sicuramente si riverbera anche sui dipinti sull’acqua; quindi posso dire che è veramente una cosa sola per me».

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“Duomo”, olio su tela, 150×180 cm

Concludiamo con una domanda piuttosto impegnativa: da quello che ha detto, penso sia quindi d’accordo nell’affermare che l’opera dell’uomo – compresa l’arte – è il continuo della Creazione (al di là del significato religioso che ognuno di noi può o meno attribuirle), o mi sbaglio?

«Sono assolutamente d’accordo. Io, come artista, mi sento di creare qualcosa che già c’è; di dare voce, semplicemente, a qualcosa che già c’è nelle cose e nei posti che vedo. Mi sento di dire che non invento nulla. Sono semplicemente partecipe, e condivido una bellezza che già c’è».

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