La parola “beccheria” deriva da “becco”, il maschio della capra, e stava ad indicare la macelleria, ossia il luogo dove si vendeva la carne; a sua volta il macellaio veniva detto “beccaio”.
In molte località queste vecchie espressioni sono tuttora d’uso corrente, mentre a Rimini se ne è persa la consuetudine da parecchio tempo, al punto che vari Riminesi non ne ricordano più il significato.
In età medievale a Rimini le “beccherie”, ovvero macellerie, svolgevano la loro attività secondo regole fissate negli Statuti Comunali, che contenevano una serie numerosa e rigorosissima di normative: quali carni vendere e non spacciare l’una per l’altra; come servirle e pesarle; quali bilance usare; quali orari praticare; quali prassi di igiene e pulizia rispettare.
L’esercizio dei beccai veniva rigidamente controllato da Ufficiali del Comune che dovevano essere sempre presenti al momento di macellare le bestie, per verificarne la sanità; quindi le bollavano e fissavano il prezzo massimo di vendita.
A differenza di oggi, allora era anche lecito vendere carne di bestie malate o di dubbia condizione; ma questo era possibile solo fuori dalle mura urbane. In città si poteva vendere solamente carne di bestie sane. Ovviamente le beccherie erano diffuse in vari punti di Rimini; tuttavia erano particolarmente concentrate in un sito compreso tra la piazza del Foro (oggi piazza Tre Martiri) e la via S. Michele in Foro.
Le rivendite di carne si dispiegavano su ambo i lati di una strada denominata appunto “via delle Beccherie”, che partiva dalla piazza e giungeva di fronte alla chiesa templare di S. Michele. A partire dal 1487 i documenti affermano che tale via era stata coperta, unica strada della città ad essere dichiarata tale. Ce la possiamo figurare come una specie di galleria sul tipo di quelle oggi presenti nei mercati coperti.
Un atto del 1500 precisa poi che il tectum seu copertum esistente sopra la via apparteneva alla chiesa di S. Maria in Trivio (cioè la chiesa di S. Francesco, ossia il Tempio malatestiano), la quale chiesa era proprietaria di tutto il complesso edilizio esteso fra la citata via delle Beccherie e la via per S. Francesco (cioè l’odierna via IV Novembre). Si trattava del complesso edilizio destinato ad osteria o albergo denominato l’albergo dell’Angelo, comprendente gli stallatici ed altri servizi.
Conoscendo le normative sopra citate, le usanze del tempo e le illustrazioni che ci sono giunte, possiamo figurarci quale intenso lavorio si sviluppasse in quelle botteghe, sotto quella tettoia. Infatti l’uccisione degli animali non avveniva in un lontano mattatoio come accade oggi, ma si praticava sul posto, sotto gli occhi dei funzionari comunali e dei clienti. Gli statuti peraltro consentivano ad ogni beccaio di tenere fino a 10 bestie in attesa della macellazione. Moltiplicando il tutto per un minimo di 5 o 6 beccherie ipotizzabili attraverso i documenti, non è difficile farsi un’idea del vissuto quotidiano che si registrava in quel sito.
Rimane da sottolineare che la situazione appena descritta è durata fino al 1547, anno in cui le beccherie sono state eliminate (e verosimilmente distribuite in vari luoghi) per fare posto alla torre dell’orologio che tuttora vediamo. Forse non molti Riminesi hanno visto la lapide che ricorda l’evento, collocata nella parete posteriore della torre e visibile dall’androne che la fiancheggia; lapide che ricorda (con qualche approssimazione) anche il tempo di un successivo restauro.
(Toponomastica medievale – 21)
Oreste Delucca