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Veneto e Stato litigano anche sui farmaci, ma le malattie non sono autonomiste

Fra le diverse vertenze fra la regione Veneto e lo Stato centrale, ce n’è una circa l’utilizzo di alcuni farmaci oncologici per la cura di tumori della mammella e dell’ovaio. Le due malattie riguardano sicuramente alcune migliaia di pazienti attualmente in italia e alcune centinaia nella Regione Veneto.

Si tratta di due farmaci innovativi, il Bevacizumab nel carcinoma dell’ovaio (nome commerciale Avastin) e del Pertuzumab nel carcinoma della mammella (nome commerciale Parjeta). Per la verità la causa è stata intentata dall’azienda farmaceutica Roche, una multinazionale svizzera, in quanto le decisioni dell’AIFA (l’Agenzia italiana del farmaco) erano più estensive per l’uso dei farmaci in oggetto rispetto alla regione Veneto; per cui, sostiene l’azienda, la Regione Veneto crea disparità nella cura dei pazienti.
Il Consiglio di Stato ha annullato le restrizioni della Regione Veneto nell’uso di questi farmaci nelle pazienti del Veneto, dando ragione alla Roche.

SUI DUE FARMACI

Si tratta di due sostanze innovative, come dicevo, anticorpi monoclonali (sostanze tutte eguali fra di loro ) dirette contro una proteina sita sulle superfici delle cellule malate, la membrana cellulare, sostanze chiamate antigeni. La prima, il Bevacizumab, contro la proteina che regola lo sviluppo dei vasi, la seconda il Pertuzumab, contro la proteina Her 2 che caratterizza il 20% dei tumori mammari. L’azione dei farmaci blocca la moltiplicazione delle cellule malate, principalmente nel tumore dell’ovaio, della mammella e dell’intestino.

SULLA SENTENZA

Il Consiglio di Stato ha dato torto alla determinazioni dirigenziali della Regione Veneto, che limitavano l’utilizzo dei farmaci in oggetto rispetto a quanto deciso da AIFA (l’Agenzia Italiana del farmaco) in alcune particolari condizioni cliniche.
Dice il Consiglio di Stato nella sentenza “che le Regioni non possono limitare i livelli essenziali di assistenza ( i famosi LEA di cui abbiamo parlato) nemmeno raccomandando ai Medici l’utilizzo di alcuni farmaci rispetto ad altri, valutati come meno convenienti nel rapporto rischio/beneficio. Tali livelli essenziali devono restare uniformi su tutto il territorio nazionale per l’essenziale garanzia del diritto alla salute (art.32 della Costituzione)”.
Direi lapalissiano.

Questa sentenza ha infatti lo scopo di evitare disparità di trattamento terapeutico fra pazienti residenti nelle diverse Regioni. Ma anche di non influenzare con differenti scelte di politica farmaceutica ispirate al mero contenimento della spesa sanitaria in ogni Regione, le scelte del medico nella prescrizione di un farmaco già valutato idoneo alla cura di malattie gravi come il cancro, sul piano dell’appropiatezza terapeutica da parte dell’AIFA. I giudici infatti, in sintonia con l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, hanno ricordato che competono solo all’Aifa la valutazione circa l’appropiatezza terapeutica dei farmaci stessi.

Da rilevare che al primo grado di giudizio il TAR del Veneto aveva espresso parere favorevole alle determinazioni regionali, respingendo il primo ricorso della Roche.
Potenza dei riferimenti giuridici.

UNA VALUTAZIONE OBIETTIVA

Mi sono andato a rivedere le determinazioni dirigenziali della Regione Veneto, eseguite sulla base di una Commissione di esperti Oncologi operanti negli ospedali del Veneto.
Non faccio nomi, ma vi assicuro che sono persone competenti, che ho conosciuto personalmente durante la mia carriera di medico oncologo, Medici specialisti con riconoscimenti internazionali.
E se si legge il loro lavoro e le loro riflessioni, nulla da dire in contrario.
Ma allora come si spiega tutto questo lavoro inutile, che ha fatto perdere tempo a medici, giudici e pazienti?
La riposta è politica.

UNA RIFLESSIONE POLITICA SU QUANTO ACCADUTO

Non solo la Regione Veneto, ma anche tutte le altre Regioni (lo so sicuramente per la Regione Emilia-Romagna) hanno le loro Commissioni per la valutazione dei farmaci.
Venti Regioni, venti gruppi di lavoro sui farmaci oncologici, determinazioni spesso diverse, anche se di poco; viaggi, trasferte, verbali, stesura di determinazioni.
Tutto poi va alle Aziende sanitarie, dove esistono altre Commissioni, mediche e di farmacisti, che stabiliscono nuove regole e nuove prescrizioni.
Il povero medico curante e il povero paziente, ultimi anelli della catena, sono soggetti a una struttura decisionale infinita.
Se qualcuno si volesse chiedere che cosa è burocrazia, questa sicuramente lo è.
Questa catena a mio parere deve essere spezzata.

E può essere spezzata solo se Aifa e Regioni si mettono d’accordo, formulando un’organizzazione sanitaria uniforme in tutto il Paese, meno ripetitiva e con regole più chiare e più semplici, anche se complesse per la complessità della materia da trattare.

Cominciano a fare sorridere quelle Regioni che dicono e pensano di essere più ‘brave’ di altre, che vogliono più autonomia per eccellere rispetto ad altre e dare servizi migliori ai propri cittadini.

Se efficienza, appropriatezza, efficacia nell’azione regionale devono certamente rappresentare degli obiettivi sempre presenti, questa rincorsa delle Regioni a volere essere, o sembrare, le prime della classe sta generando venti Italie diverse nei più svariati settori.

Care Regioni, cercate di andare più d’accordo fra di voi, cercate di uniformare i processi nel Paese, cercate in questa semplificazione di risparmiare risorse,. E se ne potrebbero risparmiare tante , …a proposito di spending review.
Ma non ci tenete proprio al Paese Italia ?
Mi domando allora cosa ci stia a fare la Destra, centralista per definizione, in quelle Regioni sempre alla ricerca dell’autonomia più spinta.

Alberto Ravaioli

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