Si ma io vi vorrei raccontare di come a Dublino ci si innamora di un libro dell’ottavo secolo. Però prima bisogna chiarire qualcosa. Lo sapete: è successo anche a voi. Sicuro. Cena con gli amici, esce fuori il discorso del turismo culturale: all’estero hanno pochi beni culturali e per questo li sanno valorizzare, dice qualcuno. L’altro risponde che da noi non si può, ce ne sono troppi. Alt. Fermi. No, non ho fatto in tempo: arriva il terzo che dice che l’Italia ha il settanta per cento (SETTANTA PER CENTO!) del patrimonio culturale mondiale. Ok, fermi adesso, che è troppo tardi.
Non è vero. No. L’Italia non ha questa perce di “beni culturali”. E’un vecchio equivoco, quasi una bufala d’altri tempi. A parte il fatto che sarebbe una classifica difficile da fare: bisognerebbe prima decidere cosa è bene culturale.
E soprattutto, no, non è vero: non è che abbiamo troppi beni culturali. Sarebbe come se gli arabi si lamentassero di avere troppo petrolio.
Bene, immaginate Rimini, quello che vedete, quello che c’è. Ora vi porto con me a Dublino, al Trinity College. Chi va a Dublino sa che – tappa obbligata – deve andare a vedere il Book of Kells. Anche se non sa che cosa sia: sa che è una cosa meravigliosa e che vada vista senza meno. Già qui abbiamo la prima lezione: il desiderio muove le persone.
Proviamo a vedere come è organizzato. Quando sono arrivato ho fatto venti minuti di fila: scorrevole, niente lunghissime attese nonostante il grande afflusso. Ne ho approfittato per raccontare ai miei vicini di fila cosa avrebbero visto: era un gruppo di italiani di Vicenza, e tre ragazze americane alte e vestite di chiaro, leggere. Spiego che è un libro – probabilmente iniziato in Scozia attorno al 790 dopo Cristo- e poi traduco in inglese alle americane. Le guardo nel blu degli occhi per vedere la reazione: colpite e affondate. E’ un’epoca per loro indicibile, quando negli States le case più vecchie avranno un paio di secoli. È stato portato e poi completato in Irlanda – per fuggire dalle invasioni vichinghe – attorno all’800, per cui ha dodici secoli di storia. Nel cielo d’Irlanda intanto passano grandi nuvole bianche come vele, gonfie di vento. Ma – proseguo alternando italiano e inglese mentre ci avviciniamo all’ingresso – un paio di secoli dopo il suo trasporto a Kells è stato rubato. Ritrovato dopo poche settimane ma privo della preziosa rilegatura, con oro e pietre preziose. Nello strappo sono andate perdute anche le prime e le ultime pagine.
Arriviamo, è il nostro turno mentre spiego che alcune immagini sono interpretate alla luce della tradizione celtica, come il serpente che è simbolo della Risurrezione, a causa del suo cambiare pelle. Biglietto prego, 8 euro per entrare. Finalmente si parte: si entra in un ampia sala, dove espositori disposti ovunque raccontano la produzione, la storia del libro. Gli espositori creano percorsi nella sala, sono messi in maniera da guidare il visitatore senza forzarlo in una sola direzione. Alle pareti ci sono schermi che a video mostrano come è stato rilegato, o come si creavano i colori, oppure come venivano disegnate le lettere. Vengono esposte anche le storie di altri codici appartenenti alla stessa scuola scriptoria: al centro della sala invece viene spiegata la complessa simbologia presente nel libro. Ad esempio si racconta che i pavoni, riportati in più parti del, rappresentano la Vita Eterna, perchè secondo una leggenda medievale la loro carne sarebbe stata incorruttibile. Infine viene mostrata in gigantografia la decorazione della copertina: un’incredibile combinazione di simboli, animali, persone, storie inscritte all’interno di due enormi lettere greche. Ci passo circa una mezz’ora, mi guardo ben bene tutto. Adesso posso salire i due gradini che mi portano alla sala dove è esposto il Book of Kells.
Facciamo una pausa: insomma, hanno un libro, un codice meraviglioso. Prima di farti arrivare a vederlo ti spiegano tutto: come rilegarlo, come trarre i colori utilizzati nella creazione del libro e – qualora tu voglia diventare un monaco amanuense dell’ottavo secolo – come prendere una pelle di bue e trasformarla in una pergamena da codice. Finalmente entri in questa stanza, dove un guardiano -quasi leggendomi nella mente- spiega che qui non si possono fare fotografie. E’tutto in penombra, tranne un cubo di metallo con un vetro sopra, attorno a cui ci sono molte persone.
Il libro è lì, unico punto illuminato, ed è aperto, al di sotto del vetro: si possono vedere i preziosi capilettera, ciascuno diverso dagli altri, decorati con rosso e blu e verde così vivi e dalle tonalità così varie che a questo punto desideri diventare un monaco amanuense dell’ottavo e nono secolo. Le lettere sono tanti segni ordinati, in latino. Giro attorno, osservo le illustrazioni sulla destra, le descrizioni dei miracoli: il Book of Kells non è altro che un evangeliario, un libro che riporta il testo dei Vangeli. Altri venti minuti li passi in adorazione. E poi esci. A questo punto ti trovi nella grande e vecchia biblioteca, costruita nel XIX secolo e con i busti dei più grandi intellettuali di allora (gli irlandesi dicono che l’Inghilterra abbia appaltato lo sviluppo della letteratura inglese all’Irlanda, ed in effetti: Joyce, Beckett, Oscar Wilde, Swift… tutti irlandesi). Ti senti dentro l’immensità della storia: centomila libri – per legge, ogni libro stampato nell’Impero Inglese doveva avere una copia in questa biblioteca -.
Passeggi per riconoscere i vari volti dei filosofi e scrittori, ti scatti qualche foto con l’Arpa di Brian Boru, un’antica arpa medievale. E poi, quando scendi le scale per uscire, ti trovi nel bookshop, dove vendono magliette con la riproduzione di alcuni disegni del Libro, gioelli, testi esplicativi, tazze, penne, tutte quelle cose inutili ma che in questo momento devi -devi – comprare a tutti i costi, per portarti a casa un po’ della bellezza che hai visto.
Saluto le mie nuove amiche americane, con la promessa di rivederci a sera per una birra e parte con i vicentini la discussione sui beni culturali, il settanta per cento e così via.
Prima, quando ve l’ho chiesto, avete pensato a Rimini e alla Romagna? Bene, torniamoci un attimo. Avete in mente un posto particolare? Allora immaginatelo – anziché così come è adesso – circondato di un apparato espositivo così ricco, una presentazione approfondita e interattiva, e un esposizione in grado di far risaltare l’oggetto e fissare a mente la sua storia, il suo significato nel presente. E all’uscita – o da qualche parte – un bookshop ricco di riproduzioni da comprare: sono sicuro che già avete la mano al portafogli, per poter entrare di corsa e comprare tutto in blocco. Vi farei un altro esempio, più vicino ai libri. Proviamo ad entrare alla Biblioteca Gambalunga. La Biblioteca è un luogo noioso? Bene, la volta prossima vi racconterò della Marsh Library, e di come una biblioteca può essere interessante non solo per i libri contenuti -o per i giornali da leggere gratis- ma proprio in quanto biblioteca, un luogo pieno di vita.