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Troppe ordinanze? Forse sì, ma in realtà non ci sono sovrapposizioni

In queste ore, in Emilia Romagna non sono poche le voci di amministratori locali che si lamentano per la sovrapposizione dell’ordinanza regionale e di quella nazionale (zona arancione) che sta creando una certa dose di disorientamento. Dalla sindaca di Piacenza ad altri amministrazioni locali lungo la via Emilia l’opinione è la stessa: Si doveva evitare questa confusione”. Alle rimostranze degli amministratori locali si uniscono anche le voci di dissenso delle categorie economiche più colpite dalle chiusure.

Si poteva evitare questa sovrapposizione di ordinanze? Molto probabilmente sì. Tuttavia vediamo cose è successo e chi poteva evitare questa sovrapposizione.

Con il Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio) di inizio novembre le Regioni sono state suddivise in giallo, arancione o rosso secondo l’indice Rt, che indica la velocità di contagio nella popolazione. Alcune restrizioni valgono su tutto il territorio nazionale; poi ci sono ulteriori misure, più restrittive, per le aree in cui l’indice Rt e altri 21 criteri di rischio supereranno una soglia d’allarme prestabilita. I 21 criteri sono stati  introdotti il 30 aprile 2020 con un decreto del ministro della Salute, Roberto Speranza. Nessuno fin ad oggi li ha mai contestati.

Il passaggio da una zona ad un’altra non è oggetto di trattativa politica, ma si basa su dati scientifici validati dalla Cabina di Regia e dal Comitato Tecnico Scientifico nazionale. Sulla base di questi dati il ministro della Salute emette l’ordinanza. Si passa da una fascia all’altra esclusivamente sulla base di questi criteri. L’ordinanza del ministro della Salute viene firmata una volta sentite le Regioni.

Sempre il Dpcm di inizio novembre, dà la possibilità ai Presidenti delle Regioni di fare ordinanze più restrittive delle norme nazionali. Veneto, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia hanno varato  delle nuove ordinanze anti assembramento utilizzando la norma nazionale.

Diceva due giorni fa il presidente della Regione Emilia Romagna Bonaccini: “Insieme ai presidenti di Veneto e Friuli-Venezia Giulia, Zaia e Fedriga, due regioni vicine e in fascia gialla come la nostra, abbiamo concordato ordinanze regionali con misure ulteriormente restrittive, per evitare gli assembramenti, situazioni a rischio che non ci possiamo assolutamente permettere, per non favorire la diffusione del contagio. Ogni misura presa, a livello nazionale e regionale, è a tutela della collettività, non ci sono pagelle o colori punitivi o premiali, ma solo lo sforzo del Paese di gestire la crisi ed uscirne definitivamente quando sarà disponibile il vaccino chiesto al Governo”.

Una procedura parallela a quella del Governo. E così è stato. Nella valutazione del report settimanale nel periodo 2-8 Novembre con dati aggiornati all’11 novembre le Regione Emilia Romagna e Friuli sono diventate Arancioni mentre il Veneto è rimasta Gialla.

Questa la realtà dei fatti. Poi si può fare della dietrologia politica sostenendo che l’ordinanza regionale doveva servire per evitare la zona arancione. Ma appunto si tratta di dietrologia. Il presidente Stefano Bonaccini è stato chiaro: “La situazione di crescente emergenza, che si riflette nell’afflusso ai Pronto soccorso e nei ricoveri nei reparti Covid degli ospedali esige purtroppo ulteriori restrizioni nelle attività. Così come la responsabilità e l’attenzione che la stragrande maggioranza dei cittadini sta continuando a dimostrare non può essere vanificata dall’irresponsabilità di una minoranza di persone”.

“La diffusione dei contagi va fermata – ha ribadito Bonaccini – se non vogliamo rassegnarci a un carico che diventerà insostenibile per il sistema sanitario, al blocco totale dell’attività scolastica e all’attività lavorativa limitata ai soli servizi essenziali”.

Il presidente dell’Emilia Romagna ha preferito agire piuttosto che aspettare l’ordinanza del ministro della Salute, come invece hanno fatto i presidenti delle Regioni Campania e Toscana, che sono passate in zona rossa.

Inoltre l’ordinanza regionale non è stata superata dall’ordinanza del Governo. Alcune norme più restrittive rimangono in vigore, come quella della chiusura dei negozi la domenica, salvo farmacie, parafarmacie, generi alimentari, tabaccherie, edicole. Idem lo stop ai mercati all’aperto senza piani ad hoc dai Comuni (Rimini li ha permessi, avendoli organizzati) e stop nei prefestivi alle medie e grandi aree di vendita oltre che ai centri commerciali. Nei negozi alimentari solo un componente per famiglia. Ulteriore misura aggiuntiva non prevista dalla zona arancione, ma in vigore dalla settimana prossima per via dell’ordinanza regionale la sospensione delle lezioni di ginnastica, canto e strumenti a fiato alle scuole elementari e medie.

Si potrebbe parlare di una regione che è in zona “arancione rafforzata”.

D’altra parte gli stessi sindaci emanano ordinanze puntuali, come ha fatto ad esempio il sindaco di Rimini Andrea Gnassi.

L’obiettivo è quello di ridurre la pandemia, l’indice di contagio senza arrivare ad un lock down generalizzato che sarebbe disastroso per l’economia del nostro Paese.

Poi comprendiamo la protesta da parte delle categorie economiche più colpite da queste ordinanze. In particolare i pubblici esercizi che si sono visti chiudere tutte le attività (consentito solo il delivery) con un solo giorno di preavviso. Forse fare uscire i provvedimenti ad inizio settimana avrebbe aiutato a ridurre i disagi per alcuni operatori economici.

Maurizio Melucci

 

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