Come riportato la scorsa settimana da Chiamami Città, l’ acquisizione al patrimonio comunale delle aree e dei fabbricati già di proprietà dello Stato nell’ ambito di quanto previsto dalle norme del cosiddetto “Federalismo Demaniale”, riassume non solo quegli aspetti legati alla contabilità pubblica che hanno comportato l’ annullamento della delibera di Giunta Comunale, ma anche (e soprattutto) interessanti questioni inerenti sia alla qualificazione giuridica dei beni pubblici oggetto di trasferimento ( ed in particolare ai quei beni che insistono sulle “nude aree” trasferite, in regime differenziato da quelle che erano invece delle vere e proprie “pertinenze demaniali” ) che ai rapporti attuali tra gli ex titolari di concessione demaniali e l’ amministrazione comunale.
Una situazione non chiara e non semplice dal punto di vista giuridico che trae la propria complessità, è bene sottolinearlo perché è da lì che si sono sedimentati i problemi e le anomalie, nel periodo in cui tali beni e tali rapporti erano in capo allo Stato ( inserimenti di tale tipologia di beni nella categoria dei beni demaniali, canoni concessori sperequati, mancati incameramenti di beni immobili di difficile rimozione, abusi edilizi realizzati ) .
L’amministrazione comunale che ha acquisto la titolarità di questi beni (e ha ereditato il retaggio di tutte le problematiche giuridiche e contabili ad essi inerenti), ha il difficile compito di “dipanare” questa complicata matassa per finalizzare il loro utilizzo al conseguimento del pubblico interesse, essendo quest’ ultimo l’unico obiettivo che l’ente pubblico territoriale deve perseguire nel loro utilizzo diretto o indiretto.
Innanzitutto è bene specificare le diverse tipologie dei beni acquisiti al patrimonio comunale ed in questo ci è di aiuto la delibera di Giunta 212 poi annullata; esse sono di 4 tipologie:
1) “piena proprietà di aree prive di manufatti già adibite a funzioni pubbliche (viabilità); quindi tratti di strada.
2) “piena proprietà di aree prive di manufatti oggetto di concessione ai privati per funzioni commerciali/sportive; qui sono prese in considerazione quelle aree libere, funzionali ed adiacenti ad altre che venivano utilizzate per attività commerciali e/o sportive.
3) “piena proprietà di aree con sovrastanti manufatti, oggetto di concessione a privati per funzioni commerciali/sportive “. Queste sono le vere e proprie ex “pertinenze demaniali” ( immobili, strutture, destinate a pub, ristoranti o attività sportive La Buca, Squero, Pattinaggio..ecc..).
4) “proprietà delle sole aree occupate da sovrastanti manufatti di proprietà di terzi privati, aventi destinazione commerciale“. Quest’ ultime sono le ex aree dello Stato (ora comunali) sulle quali insistono i “chioschi bar” (Peter Pan, Bar Rondò del Tropico); questi ultimi (parlo dei manufatti ) erano di proprietà privata prima, quando il suolo su cui insistevano era dello Stato, come lo sono adesso che il suolo è diventato comunale, diversamente, di contro, dalle “pertinenze” vere e proprie ( ad esempio i ristoranti di cui sopra La Buca e lo Squero ) che era già di proprietà dello Stato e con il decreto di trasferimento sono divenute proprietà comunali. Forse il regime giuridico dei “chioschi Bar “ potrebbe risultare il più problematico.
Una ipotesi di riqualificazione
Per riassumere in sintesi il quadro normativo che ha portato a tale acquisizione, è necessario ritornare brevemente alla Legge Delega n. 42/2009 (Federalismo Fiscale) il cui art. 19 “autorizzava” i successivi Decreti Legislativi attuativi a prevedere, con riguardo all’attuazione dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, i princìpi generali per l’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) attribuzione a titolo non oneroso ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali, fatta salva la determinazione da parte dello Stato di apposite liste che individuino nell’ambito delle citate tipologie i singoli beni da attribuire;
b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;
c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell’attribuzione dei beni a comuni, province, città metropolitane e regioni;
d) individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, ivi compresi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.
All’art. 19 ha dato attuazione il D.lgs 28 Maggio 2010 n. 85 ( c.d. Federalismo Demaniale ) il cui art. 4 ( “Staus dei beni” ) dispone che “ I beni, trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, salvo quanto previsto dall’articolo 111 del codice di procedura civile, entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni……..”.
Il testo di questa norma, fonte di rango primario avente forza e valore di legge, non dimentichiamolo, non lascerebbe dubbi all’interpretazione e imporrebbe alle Regioni e agli Enti Locali di inserire nel loro “patrimonio disponibile” i beni trasferiti dallo Stato.
Il Comune di Rimini, con la delibera di Giunta poi annullata aveva, invece, inserito i beni acquisiti nel proprio “patrimonio indisponibile” in modo da poterli attribuire, sempre con la stessa delibera, in “concessione annuale onerosa” agli attuali utilizzatori. Questa scelta è stata fonte di discussione tra il settore patrimonio e gli avvocati dei soggetti che attualmente utilizzano tali immobili.
Vediamone sinteticamente i motivi, con la premessa che sarà necessario adoperare alcuni tecnicismi giuridici per poter comprendere la differenza tra le due categorie di beni pubblici. La terza categoria è quella dei beni demaniali che, per i fini della discussione, possiamo accontentarci di qualificare come “quei beni per espressa disposizione di legge servono a soddisfare bisogni collettivi in modo diretto e devono appartenere obbligatoriamente allo Stato o agli Enti Pubblici Territoriali”, tipo il lido del mare, le spiagge, le rade ( demanio necessario ), oppure le strade, le autostrade, le strade ferrate, gli acquedotti, gli immobili riconosciuti di interesse storico archeologico ecc… ( demanio accidentale ) .
I beni del patrimonio disponibile dello Stato e degli enti territoriali solitamente si ricavano per esclusione rispetto a quelli facenti parte delle due precedenti categorie: essi, sono i beni non appartenenti, a norma del codice civile o di leggi speciali, al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato. Sono beni pubblici solo per la qualità di ente pubblico del soggetto che ne è proprietario: di essi lo Stato o gli altri enti pubblici sono proprietari allo stesso modo di qualsiasi privato ed il loro diritto di proprietà è regolato dal codice civile, salvo le disposizioni di leggi speciali: ad esempio un normalissimo immobile, urbano o rurale, che per vari motivi ( donazione, eredità, acquisto ) è di proprietà di un ente pubblico il quale, per mezzo di un normale contratto di locazione od affitto, lo rimette nella disponibilità di un privato.
I beni del patrimonio indisponibile dello Stato e degli enti territoriali disciplinati dall’ art. 826 del cod.civ., invece, sono quelli la cui necessaria proprietà pubblica si giustifica perché si tratta di fondamentali risorse produttive da sfruttare a vantaggio dell’ intera collettività ( miniere), o perché sono beni culturali o naturali da salvaguardare (patrimonio storico, geologico, faunistico) o perché sono beni che servono allo Stato o agli altri enti pubblici per l’ assolvimento delle loro funzioni istituzionali (ad es. gli edifici destinati a sedi di pubblici uffici con i loro arredi e gli altri beni destinati a pubblico servizio; gli immobili destinati al servizi di nettezza urbana, di illuminazione pubblica con le necessarie pertinenze, ecc..). Tale categoria postula necessariamente una destinazione del bene all’ uso pubblico, che trovi un concreto ed attuale riscontro nella realtà, ossia un effettivo utilizzo del bene nella sua dimensione fattuale ad un pubblico servizio (c.d. principio di effettività) .
La delibera annullata motivava l’ inserimento dei beni ricevuti dallo Stato nel patrimonio indisponibile del Comune (come già precedentemente determinato per le cosiddette aree in fregio ) in considerazione della loro futura utilizzazione strategica alle finalità del progetto del “Parco Del Mare” che ad oggi, però, vede solo la delibera di elaborazioni delle “Linee di Indirizzo” n. 72/2015 e nulla di più. Da qui la perplessità degli avvocati degli ex concessionari demaniali che avrebbero visto più appropriato il loro inserimento nel “patrimonio disponibile del Comune“ in conformità con quanto stabilito dal D.lgs 28 Maggio 2010 n. 85 e dal Decreto Direttoriale della Direzione Regionale dell’ Agenzia del Demanio del 17 Marzo 2017, con le conseguenze giuridiche che ne sarebbero derivate (titolo privatistico per l’ utilizzo).
E’ evidente che la domanda di fondo che riassume il peccato originale era da porsi nel momento in cui questi beni erano di proprietà dello Stato perché sinceramente non si riesce ( e non si riusciva ) a capire la ragione giuridica per la quale ristoranti, discoteche, piste di pattinaggio rientravano nella classificazione di beni appartenenti al demanio marittimo. Qual’ era la la loro vocazione oggettuale e/o naturalistica tale per cui essi potessero essere qualificati come funzionalmente preordinati ad una pubblica funzione “ destinata a soddisfare gli interessi pubblici attinenti alla navigazione e volti a consentire la percezione delle molteplici utilità che la collettività e i singoli traggono dal mare ? “ Anche la loro qualificazione come “pertinenze del demanio marittimo” lasciava molti dubbi visto che il codice della navigazione all’ art. 29 nel prevederle si riferiva essenzialmente a quelle opere (fari, moli, argini, ecc.) caratterizzate da un rapporto di accessorietà rispetto al bene demaniale, col quale si immedesimano.
Stesso discorso vale per quelle aree (beni non pertinenziali) schematizzate sopra con i n. 2 e 4 dalla delibera di G.C. 212/2017 sulle quali, o insistono manufatti di privati ( chioschi bar ), o di per se stesse rivestono una funzione complementare a quella legata ad un uso imprenditoriale ( commerciale-sportivo) dell’ immobile a cui accedono.
Lo Stato ha mai compiuto una ricognizione su tali beni valutandone le caratteristiche intrinseche ( facile o difficile rimozione) al fine di quello che poteva finalizzarsi ad un incameramento ai tempi in cui essi insistevano su un bene demaniale marittimo? Esiste un titolo edilizio legittimo ( o tale da poter essere legittimato) per tali beni ? Adesso che insistono su un bene di proprietà del Comune qual’ è il loro regime giuridico ? Varrà il principio di accessione ( il Comune attira nelle propria orbita tali manufatti divenendone proprietario ) oppure consentirà al privato di poterne utilizzare ( con quale titolo e fino a quando ? ) per poi restituirglieli alla fine del rapporto di “disponibilità”, sempre che venga valutata positivamente la loro legittimità urbanistico-edilizia?
Viste tutte queste legittime considerazioni che l’ amministrazione comunale, e ogni singolo cittadino, hanno il diritto-dovere di affrontare, può risultare una vera e propria stonatura la motivazione con la quale il Ministero supporta la propria decisione di “sdemanializzazione: «…sono entrati nell’ambito dei beni appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato a far data dal 13 Dicembre 2016, avendo perduto, a quella data, la natura di demanio marittimo per il venir meno dei requisiti morfologici e funzionali di tale tipologia di beni». Molto probabilmente tale natura non l’ hanno mai avuta da quando essi sono venuti ad esistenza e se si somma la circostanza che dal punto di vista funzionale non sono mai stati preordinati a pubbliche funzioni e/o utilità, le argomentazioni degli avvocati dei gestori possono risultare tutt’altro che futili.
Un altro elemento interessante di discussione investe l’ attuale rapporto tra gli ex concessionari demaniali (ora solo meri detentori e l’amministrazione comunale. E’ indubbio che non trattandosi più di beni appartenenti al Demanio Marittimo la concessione demaniale a scopo turistico ricreativo legittimante la posizione degli ex concessionari è automaticamente decaduta nel momento in cui è stato modificato il regime giuridico di tali beni passati dal Demanio dello Stato al Patrimonio disponibile dello Stato stesso con il Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti del 16 Marzo 2017 G.U. ).
Quindi il titolo di detenzione attuale è sicuramente un titolo “di fatto” necessario per conferire certezza e continuità al rapporto che però deve necessariamente avere una durata transitoria, limitata all’essenziale per definire giuridicamente il rapporto e questo dovrebbe essere il senso della dizione per la quale “da tale data il Comune di Rimini è immesso nel possesso giuridico dei beni trasferiti e subentra all’ Agenzia del Demanio in tutti i rapporti attivi e passivi (di fatto,sostengo io) in essere”.
Sommando tale ultima considerazione con i dubbi che sono stati sollevati in ordine alla loro qualificazione giuridica, vista la mancata destinazione effettività ad oggi ad una pubblica funzione, potrebbero non essere del tutto singolari le tesi di coloro che vorrebbero una immediata pubblica evidenza per questi beni immobili che ad oggi hanno la caratteristica “di veri e propri beni aziendali” a tutti gli effetti sottoposti ad un regime privatistico, pur se di proprietà del Comune di Rimini.
Roberto Biagini