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Tre riminesi sull’Himalaya

Scalare una montagna e arrivare fino in cima: anche se si chiama Himalaya. È quello che hanno fatto tre amici che da Rimini sono volati fino in Nepal. Sono partiti per la scalata il 5 novembre, a piedi, con lo zaino in spalla, senza guide e mappe, ma con tanta adrenalina in corpo.

Emanuele Tumulo, Marco Capelli e Matteo Giorgetti, sono riusciti a superare i 4000 metri, arrivando l’11 novembre al campo base dell’Annapurna. Un’impresa davvero ardua quella di questi trekkers, che rimarrà scolpita nella loro mente. Emanuele rimarrà in Nepal qualche altra settimana, mentre Marco e Matteo sono tornati in Italia.

Abbiamo chiesto a Matteo di raccontarci la sua passione per il trekking e, soprattutto, perché ha deciso insieme ai suoi amici di tentare questa avventura.

Giorgetti, quando è nata la sua passione per il trekking?

«Non saprei, non ricordo un momento in cui è nata questa passione. Mii è sempre piaciuta la montagna fin da piccolino, sono cresciuto coltivando un vero e proprio amore per il nostro Appennino e fuggivo nelle foreste casentinesi ogni volta che ne avevo la possibilità».

Quanto bisogna allenarsi per praticare questa attività?

«Allenarsi sicuramente fa la differenza. Io ho peccato un po’ di ottimismo e prima di partire per l’Himalaya non avevo fatto un allenamento mirato, quindi la fatica si è fatta sentire prima e più del previsto».

Quali montagne ha provato a scalare?

«Non ho mai scalato vette degne di nota, ma di trekking ne ho fatto tanto. Ricordo il Cammino di Santiago, anche se per motivi di tempo non sono potuto partire dall’inizio, poi il Trentino, le Cinque Terre. Qualche hanno fa sempre noi tre abbiamo fatto un trekking sull’Aiguille du Midi, una cordata sul ghiacciaio del Monte Bianco. E il luogo a cui siamo più legati è proprio la Val d’Aosta, per i panorami e le altezze che ti regala. Infatti, da un qualche anno a questa parte, andiamo sempre una settimana in Valpelline, dove possiamo sperimentare svariati trekking anche con discreti dislivelli».

Ha mai avuto paura durante queste scalate?

«Forse una volta, quando una tormenta di neve ci ha colti del tutto impreparati a circa a 3.000 metri e non eravamo attrezzati. Ma paura è un termine che non userei; magari qualche preoccupazione, ma in questi casi a farla da padrone è l’entusiasmo».

Perché ha deciso insieme a suoi due amici di tentare la scalata dell’Himalaya?

«Volevamo fare un viaggio per celebrare l’arrivo dei 30 anni, ma non è stato semplice organizzarci per incastrare bene tutti gli impegni. E quindi, in realtà, il viaggio lo abbiamo fatto a 31 anni suonati. Perché l’Himalaya? Beh, perché è il tetto del mondo e penso sia il sogno di ogni trekker».

Invece, perché è meglio essere in più persone quando si tentano queste imprese?

«Innanzitutto per la sicurezza, perché camminare da solo in montagna può essere molto pericoloso. Una banale caduta può trasformarsi in un grave problema se ti impedisce di andare avanti. Ma anche per la gioia della condivisione del raggiungimento dell’obiettivo, come si dice, una gioia vale doppio se è condivisa».

Che esperienza è stata?

«Difficile da definire in poche righe. È stata un’esperienza forte, provante e faticosa, almeno per me. Ma allo stesso tempo è stato un viaggio anche introspettivo e spirituale. Quindi se dovessi descriverla con un aggettivo, forse direi che è stata un’esperienza piena».

Sta già pensando alla prossima avventura ad alta quota?

«Certo che sì. Sarebbe bello poter vedere anche altri monti himalayani, la catena montuosa è vastissima e cambia tanto anche il paesaggio da zona a zona, quindi mi piacerebbe tentare anche il base camp dell’Everest o il Manaslu. E inevitabilmente dopo aver visto l’Himalaya c’è anche il sogno delle Ande e dei ghiacciai della Patagonia, in Sud America».

Nicola Luccarelli

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