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Tranquille femministe, c’è di peggio della Legio XIII che sfila per Rimini

Questi weekend freddi e piovosi stanno sistematicamente rovinando prime comunioni, feste di matrimonio e recite scolastiche. Riusciranno anche a fermare la legione prediletta di Giulio Cesare, una delle più prestigiose dell’antica Roma, la XIII Gemina, che oggi dovrebbe esibirsi in città in tutta la sua possanza, tra sferragliare di gladi e grida di battaglia?

Figuriamoci. Il centurione che consulta il meteo sullo smartphone è ancora più anacronistico di quello con l’orologio da polso, reso celebre dal film Ben Hur. Non solo perché le app meteorologiche sono ancora più distanti dall’età romana degli orologi, ma anche perché ci vuol ben altro che due gocce di pioggia e qualche grado in meno per fermare la legione che passò il Rubicone, sconfisse i seguaci di Pompeo a Farsalo, Tapso e Munda e in seguito combatté per l’Impero, dalle steppe della Pannonia ai deserti della Mesopotamia, guadagnandosi gli appellativi di Pia e Fidelis.

Oggi le benemerenze della Gemina sono ben altre: il bando di arruolamento sul suo sito internet promette «bottino per assicurarti una pensione per la vecchiaia», il che rende la legione molto interessante per i giovani cui il precariato non dà certezze economiche per il presente e tanto meno sicurezza previdenziale per l’avvenire – anche se, trattandosi ahimé solo di figuranti, e non di veri legionari, probabilmente anche i contributi saranno figurativi.

A quanto ne sappiamo, l’esibizione della Legio XIII non ha suscitato le critiche delle associazioni femministe, com’è successo l’autunno scorso a Ravenna in occasione della sfilata della Legio I. Secondo un comunicato della Casa delle Donne ravennate, eventi del genere sono pubblicità guerrafondaia, militarista e sessista ed esaltano il machismo in divisa nel momento peggiore, echeggiando il tristemente famoso slogan Dio-Patria-Famiglia che qualcuno vorrebbe riportare in auge.

Uno dei grandi torti del fascismo è aver soffuso di un’aura fascistoide tutto ciò che riguarda l’antica Roma, i cui simboli sono stati piratati e strumentalizzati dalla dittatura a scopo propagandistico. La civiltà romana non era sicuramente una socialdemocrazia scandinava, ma non fu sempre conservatrice o bigotta, anzi. Una volta bruciato qualche grano d’incenso davanti alla statua dell’imperatore, si poteva credere in quel che si voleva, da Thor a Iside al dio Sole, gettonatissimo nelle legioni.

Quanto alla patria, beh, un impero è fisiologicamente al di sopra dei particolarismi etnico-politici, tant’é che ci furono imperatori di origine spagnola, africana, gallica, tracia, illirica, siriana. Il 21 aprile 248, le sfarzosissime feste per i primi mille anni di Roma furono presiedute da un imperatore dal nome eloquente di Filippo l’Arabo, senza che Senato e Popolo romani ne restassero minimamente turbati. Il che a  noi moderni pare ormai incomprensibile, dopo le polemiche che hanno accompagnato la vittoria di Mahmood al festival di Sanremo e il suo rappresentare l’Italia all’Eurofestival.

E sotto il profilo dei valori familiari la legione romana era lontana mille miglia da Mario Adinolfi e Simone Pillon. Anche a non voler dar retta al quel pettegolo di Svetonio giusto a proposito di Giulio Cesare («marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti») e per stare ai comuni mortali che non finivano divinizzati, i soldati non potevano sposarsi fino a fine servizio (durava anche 20 anni). Quindi nel frattempo si appoggiavano a meretrici o formavano coppie di fatto i cui figli prendevano il nome della madre (per non parlare di quel che succedeva fra commilitoni sotto le tende).

Che le femministe riminesi siano meno (o meglio?) edotte in antichità romane delle omologhe ravennati, o solo più distratte, è bene che non abbiano trascinato gli incolpevoli figuranti della Gemina nel calderone di vacue polemiche ideologiche su cui oggi soffiano in troppi.

Del resto un legionario con il gladio di latta e gli slip di H&M sotto il gonnellino è molto più autentico e genuino di certi candidati alle Europee che di nome fanno Caio Giulio Cesare, ma hanno il cognome di un tiranno che ne fu la tragica parodia.

Lia Celi

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