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Tragedia del porto di Rimini, la ricostruzione e chi c’era a bordo

Come è potuta accadere la tragedia del 19 aprile al porto di Rimini?  Il Giornale della Vela ha tentato una ricostruzione.

Il “Dipiù” un Bavaria 40 da 15 metri, salpa nella mattinata del 18 aprile da Marina di Ravenna; la meta è Trapani. Nonostante i consigli di un amico, che li mette in guardia sulla bora che sta salendo, l’equipaggio che ha già mollato gli ormeggi decide di proseguire. Fuori c’è molta onda e vento forte.

Intorno alle 13 le condizioni sono diventate davvero proibitive, la bora soffia con raffiche fino a 45 nodi (più di 80 km/h), il mare, a causa dei bassi fondali che caratterizzano la costa adriatica, è sempre più minaccioso. L’equipaggio contatta via radio l’ormeggiatore del porto Marina di Rimini annunciando l’arrivo. Non lancia sos alla Capitaneria di Porto.

Verso le 16, il “Dipiù” giunge a ridosso dell’ingresso del porto di Rimini. Le vele sono ammainate e sta procedendo a motore. Qui, qualcosa va storto. L’entrobordo si blocca. In queste condizioni la mente si annebbia, è difficile ragionare con lucidità. Ci prova l’armatore, che tenta di issare la tormentina (piccola vela utilizzata con i venti più forti) per manovrare, mentre la corrente trascina velocemente la barca verso la scogliera del porticciolo.

La barca è in balia delle onde, con sbalzi di anche due-tre metri. Una volta che è abbastanza vicina alla riva, e il fondale è basso, la chiglia sbatte contro il fondo, e purtroppo questo accade mentre la barca è inclinata, causandone il distacco (se il colpo fosse avvenuto a barca piatta, al limite la chiglia sarebbe rientrata per compressione).

Nelle foto della barca capovolta sugli scogli è ben visibile l’assenza della pinna di chiglia; un Bavaria 40 pesca circa due metri, mentre le acque antistanti la barriera frangiflutti all’altezza del RockIsland sono profonde al massimo due metri e mezzo, che ovviamente calano considerevolmente nel cavo dell’onda quando questa è molto alta.

Con la barca senza chiglia, ribaltarsi, in una situazione di onda alta e corta, è un attimo.
E così il “Dipiù” scuffia, finendo contro la scogliera. Tutti i membri dell’equipaggio finiscono in mare, la prima è la figlia dell’armatore. In questi casi, uno può aver giustamente indossato il giubbotto autogonfiabile e restare a galla, ma il problema è riuscire a respirare: con un vento così forte, l’acqua nebulizza, è come essere sott’acqua.

Chi erano gli occupanti della barca?

Una delle vittime è Alessandro Fabbri, veronese di 67 anni, cardiochirurgo che aveva lavorato all’ospedale di Borgo Trento, vantando anche un’esperienza a Londra, per poi diventare primario all’ospedale San Bortolo di Vicenza. Un medico stimato anche per la sua disponibilità e per il carattere affabile. Un professionista con la passione per l’impegno politico: era stato vicesegretario provinciale della Democrazia Cristiana e in seguito aveva partecipato alla fondazione del Partito Popolare. «Ad Alessandro Fabbri, che avevo incontrato proprio pochi giorni fa, ero personalmente legato da amicizia e da stima» ha dichiarato il sindaco di Verona, Flavio Tosi.

Assieme al cardiochirurgo (che lascia la moglie e un altro figlio) c’era la primogenita Alessia, 37 anni, notaio con studio a Castelnuovo del Garda e tesoriere del Consiglio Notarile di Verona.

Con lei il fidanzato Luca Nicolis, direttore di uno dei locali più noti e antichi di Verona, insignito l’anno scorso dalla rivista americana «Wine Spectator» come uno degli undici ristoranti nel mondo, unico italiano, che da soli «valgono il viaggio» e il cui ricordo «rimane per tutta la vita».

Nicolis è uno dei due sopravvissuti, tratto in salvo in condizioni di salute buone dai soccorritori, ai quali, benché molto provato, ha urlato disperatamente di cercare e di salvare la sua compagna Alessia, il cui corpo è stato recuperato solo l’indomani.

Da sinistra, Luca Nicolis,

Da sinistra, Luca Nicolis, Alessandro Fabbri, Enrico Martinelli e Alessia Fabbri

Ieri sera i colleghi della Bottega del vino hanno chiuso il locale e sono corsi a Rimini per stare vicini al loro «paron».

All’ospedale di Rimini è ricoverato in gravi condizioni un altro medico, Carlo Calvelli, 68 anni, otorinolaringoiatra al Policlinico di Verona e docente all’Università, da poco in pensione.

Sulla barca c’era anche Enrico Martinelli, 69 anni, con casa a Ortisei (Bolzano), ex dirigente di un’impresa di costruzioni e grande appassionato di vela.

La quarta vittima è un ingegnere di Camisano Vicentino, Enrico Salin, 64 anni, che l’ex cardiochirurgo aveva conosciuto durante la sua esperienza professionale a Vicenza.

«Il cordoglio del sindaco e di tutta la città – ha detto ancora Flavio Tosi – alle famiglie colpite da questa terribile tragedia, insieme alla mia personale vicinanza, visto che molte delle persone coinvolte, purtroppo, le conoscevo molto bene».

La procura di Rimini ha aperto un fascicolo per naufragio colposo al fine di accertare le cause che hanno provocato l’incidente accaduto ieri pomeriggio al porto di Rimini.

(foto in apertura di Manuel Migliorini)

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