Esprimersi, nella vita, porta sempre a qualcosa di buono. Basta poco per emozionarsi ed emozionare. Lo sa molto bene un giovane artista che ha scelto la strada per far conoscere il proprio talento. Lui si chiama Mattia Guerra, in arte ‘Tory on the road’, ha 22 anni e viene da Torriana. Mattia è un artista di strada, che con la musica sa inventare emozioni: contagiose e capaci di dipingere la realtà con i colori della fantasia.
Mattia, artisti di strada si nasce o si diventa?
«Credo che tutte le nostre scelte siano date dal nostro percorso, quindi non c’è nulla di casuale e nulla di determinato in partenza. La mia scelta fa parte di un percorso, è un tassello e non un arrivo. Poi sicuramente ci sono certi incontri che ti cambiano. Per me è stato l’incontro con “Alcantara”, compagnia teatrale di Rimini. Qui ho trovato nella figura di Anna e Damiano due persone che mi hanno fatto vedere la vita da un’altra prospettiva. Credo che artisti di strada si può potenzialmente nascere, ma poi è il percorso di vita che ti porta a diventarlo. Prima di concentrarmi su questo progetto, però, ho lavorato come barista, barman, cameriere e animatore».
Com’è la vita dell’artista di strada? Ha un qualcosa di bohémien?
«È sicuramente interessante per le esperienze e le unicità con cui si viene a contatto. Ti dà la possibilità di entrare in relazione con tante persone, e la musica crea un legame ed un’intimità che non appartengono a questo mondo. Poi viaggi e conosci persone affini, con cui condividere esperienza artistiche e di vita. C’è tanta magia, però bisogna avere anche tanta pazienza e capacità di adattamento alle situazioni».
Richiedi qualcosa per le tue performance?
«Chiunque può assistere allo spettacolo, anche senza lasciare nulla, poi chi vuole può contribuire. Se fosse obbligatorio lasciare qualcosa crollerebbe tutto il senso della spontaneità e della libera arte».
Sono molti quelli che decidono di intraprendere questa vita?
«Sicuramente negli ultimi anni – e questo mi è stato detto da chi ha più esperienza di me, gente che lo fa da una vita- il numero degli artisti di strada è aumentato. Nel termine “artista di strada”, rientrano persone che fanno cose molto diverse tra loro, anche come ideale artistico. C’è chi sceglie di farlo così, giusto per, e chi lo fa seguendo un ideale di arte, bellezza e condivisione».
Quale strumento suoni? Qual è il tuo genere musicale?
«Suono il pianoforte. Prediligo un genere minimalista, ri – arrangiamenti di brani popolari come Over the rainbow, New York New York, Libertango, Halleluja, brani blues e tanta improvvisazione. Mi piace che siano l’ambiente e le persone attorno a me a determinare lo spettacolo, quindi non ho quasi mai una scaletta definitiva. Spesso faccio suonare insieme a me gente del pubblico, anche bambini, per mandare il messaggio che la musica noi ce l’abbiamo dentro, basta farla uscire. Certo non è così automatico, ci vuole studio e perseveranza, ma il messaggio credo sia importante. Il canto e la musica fanno parte dell’uomo da sempre, e non vedo perché debba essere relegato a quattro mura, a una scuola o a un teatro. Durante lo spettacolo intervallo alla musica anche momenti parlati per raccontare qualcosa delle canzoni che suono, come storie o curiosità personali».
Dove ti esibisci solitamente?
«In estate vado spesso fuori città, durante l’inverno rimango nella zona di Rimini, Cesena, Santarcangelo, Cesenatico o mi sposto verso Pesaro».
La gente apprezza la musica di strada o rimane indifferente?
«Sono molto contento della partecipazione della gente. E questo conferma il fatto che l’appiattimento sociale e culturale sia imposto e non naturale. Messo in condizione di assistere all’arte, l’essere umano non si tira indietro. È quasi sempre partecipe e porta tanta energia positiva.
Un ricordo fantastico è legato ad un’esibizione che ho fatto nell’estate 2016. Ero a Genova, davanti al palazzo ducale dove c’è la fontana. Era la seconda sera che suonavo lì. La prima sera era stata di “prova” ed era andata abbastanza bene. La sera successiva dovevo tornare ed ero bello carico perché era un sabato e c’era molta gente. Arrivo, monto l’attrezzatura e inizio a suonare. Non faccio in tempo a finire il primo brano che mi si avvicina un signore, era uscito dal palazzo ducale dicendomi che dentro c’era un concerto di pianoforte. Anche se molto amareggiato, prendo un respiro. Il concerto finiva alle 23:30, ed erano le 22. Spengo l’impianto ma non smonto l’attrezzatura, con l’idea di suonare finito il concerto, anche se non ci sarebbe più stato nessuno in giro. Così vado a vedere il concerto del pianista che eseguiva brani di Wagner e Mozart. Finito il concerto esco fuori e mi rimetto a suonare, convinto che gli spettatori del palazzo ducale non mi avrebbero considerato più di tanto. Invece escono tutti e si siedono sulle gradinate, dietro di me, per terra di lato a destra e per terra di lato a sinistra. E’ stato lo spettacolo più bello che abbia mai fatto, pensa se non avessi avuto fiducia e avessi smontato tutto. La gente ti sorprende sempre».
Essere un artista di strada ti riempie di soddisfazioni quindi?
«Sì. È il far parte di qualcosa, essere attivo, comunicare e condividere emozioni. Ragazze che ti ringraziano perché hai suonato la canzone che il padre le cantava da piccola, argentini che si esaltano quando suoni Piazzolla, africani che cantano sul tuo blues, gente che aveva degli impegni e li rimanda perché vuole rimanere ad ascoltarti, insomma ti senti vivo e questa è la soddisfazione più grande».
Dove ti vedi fra dieci anni? Qual è il tuo sogno, un desiderio che vorresti realizzare?
«Credo nel valore sociale ed educativo della musica. Credo nelle enormi potenzialità dell’essere umano. Vorrei contribuire, nel mio piccolo, a creare un mondo migliore, che non è un’utopia. Vorrei contribuire ad un cambiamento che sento necessario, attraverso l’educazione e attraverso l’arte.
Mi piacerebbe creare un contesto, o un’associazione che sia parte attiva di un futuro cambiamento».
Nicola Luccarelli