Cerca
Home > Cronaca > Terremoto, quel che va fatto e quel che non va fatto

Terremoto, quel che va fatto e quel che non va fatto

Partecipo dal 2009, con il terremoto in Abruzzo, alle campagne nazionali di soccorso di Protezione Civile. Lo spirito prevalente e le modalità sono quelle dei tanti volontari del Coordinamento provinciale di Protezione Civile che da subito mi hanno contagiato nella passione e insegnato come farlo. È certo comunque che ogni volta mi metto anche nei miei panni di tecnico responsabile del Servizio, che fa capo ai comuni della Riviera del Conca, e di Sindaco di Gemmano. C’è l’attenzione per l’azione del momento, e al tempo stesso c’è l’esperienza utile al ruolo di tecnico da una parte e di Sindaco dall’altra.

Intanto voglio dire onestamente una cosa. Tu puoi studiare, prepararti, esercitarti quando vuoi, ma quando capita a te è tutta un’altra cosa. In piccolo l’ho già provato. La conoscenza e la preparazione, poca o tanta che sia, è offuscata ed a tratti annullata, dalla componente emotiva e psicologica e dal coinvolgimento della sfera personale, degli affetti e dei tuoi luoghi di vita, violati e violentati dall’evento calamitoso.

Al netto di questa precisazione, la preparazione e l’informazione preventiva, ad ogni livello, sono fondamentali e non praticarle è un errore molto grave, direi delittuoso. Non possono esistere territori, edifici o comunità sprovvisti di un piano di emergenza correttamente comunicato e testato, che dica cosa e come fare in caso di terremoto o di altre possibili calamità.

Faccio l’esempio della gestione di una emergenza da parte di squadre di soccorso esterne, cosa che avviene sempre negli eventi più importanti. I nostri Piani di Emergenza, quelli dei comuni della provincia di Rimini, hanno – quasi tutti – codificato le procedure, individuato le aree di ammassamento, quelle di attesa e quelle di emergenza, con le tendopoli già progettate, e che presto saranno anche segnalate al pubblico con segnaletica stradale. Inoltre sono già attrezzate di allacci luce, acqua e scarichi.

Lo abbiamo visto in molti casi: l’assenza di questo “semplice” elemento di pianificazione ritarda i soccorsi e provoca confusione e dispersione di energie. Una non corretta informazione e formazione inoltre disorientano i cittadini e non ottimizzano gli aiuti umanitari. Si deve sapere che nel nostro Paese esiste un sistema di Protezione Civile, e il soccorso fortunatamente non è più improvvisato come in un tempo ormai lontano.

Se si esce dalla filiera del coordinamento di Protezione Civile non si aiuta ma si rischia seriamente di disturbare e di ritardare il soccorso.

A rischio di apparire sgradevole, e confermando tutta la stima, voglio dire che quei bellissimi e bravissimi ragazzi che nelle alluvioni vengono giustamente osannati e chiamati “angeli del fango”, sono un patrimonio straordinario, ma dovrebbero abbandonare l’improvvisazione e l’azione individuale e unirsi ai gruppi di protezione civile, che si formano e si addestrano con continuità.

Sempre a rischio di apparire sgradevole affermo, a ragion veduta, che le raccolte di indumenti, coperte o cose di questo genere da inviare nei posti dei disastri, se non vengono svolte su richiesta e sotto il coordinamento della Protezione Civile, ma vengono inviate o portate sul posto di propria iniziativa, sono certo che servono più a soddisfare l’esigenza di rendersi utile di chi le fa, piuttosto che a soddisfare le esigenze dei cittadini colpiti dai disastri, perché quel materiale viene ovviamente recepito una volta sul posto, ma poi smaltito perché inutilizzabile.

Così come le derrate alimentari. Si deve sapere che in una zona colpita da un evento disastroso la popolazione non è nelle proprie case a cucinare ma è ospitata in strutture collettive dotate di mensa. Faccio un esempio stupido: una mensa di tendopoli che fornisce mediamente 500 pasti, non può cucinare dieci tipi diversi di maccheroni (penne, pennette, fusilli, ecc.) o di spaghetti (il cinque, il tre, ecc.) e quindi deve poter contare su grandi quantitativi e di tipologie uniformi.

Ciò che viene a meno nei luoghi di disastro, e che non è assicurato nel tempo se non attraverso un intervento straordinario collettivo e pubblico, non sono i generi di prima necessità nell’immediato, ma i luoghi della socializzazione. Perché, guardate bene, la prima vittima di un disastro è la “comunità” stessa. Ecco perché sono importanti gli aiuti economici. Per la ricostruzione, oltre che delle abitazioni private, della luoghi della socializzazione (centri sociali, scuole, palestre, teatri, ecc.) perché è da questi che la comunità risorge velocemente da sola.

Riziero Santi

Ultimi Articoli

Scroll Up