Dopo la sentenza del Tar della Lombardia, che potrebbe avere pesanti conseguenze sulle concessioni di spiaggia, giungono i primi commenti.
Secondo l’Onorevole Sergio Pizzolante, che è anche relatore della proposta di legge che dovrebbe riordinare definitamente la materia, “La sentenza determina la disapplicazione della norma approvata nel decreto enti locali del giugno scorso, che dichiara legittime le concessioni demaniali in attesa della approvazione della nuova legge di riforma”.
Il parlamentare riminese getta acqua sul fuoco, anche se non sottovaluta la pronuncia: “È una valutazione del TAR lombardo, per un caso di specie. Il ricorrente potrà far ricorso al Consiglio di Stato. Nessun allarme particolare ma è chiaro che può diventare un precedente”.
“Ciò detto, nel merito – conclude Pizzolante – il TAR agisce come se si trattasse di una proroga secca, a tempo indefinito. E quindi in contrasto con le norme europee e con la stessa sentenza della Corte di giustizia europea, che si è espressa contro le proroghe e il rinnovo automatico e per le evidenze pubbliche.
Così non è perché la norma interviene in un contesto emergenziale ed espressamente collegata e legata all’approvazione di una legge organica di riforma (com’è espressamente scritto) che dopo un periodo di transizione (giustificato anche dal legittimo affidamento che la Corte europea non nega), prevede la selezione con procedure di evidenza pubblica con il riconoscimento del valore di impresa e della professionalità che altre sentenze ritengono legittimi. La Legge, come tutti sanno, è all’esame del Parlamento.
La nuova sentenza comunque dimostra che è necessario procedere celermente all’approvazione della legge, con tutte le modifiche che il confronto in atto e il dibattito parlamentare riterrà necessarie. E rende più chiaro quel che è ragionevole e ciò che non lo è”.
Più articolata la valutazione di Roberto Biagini, ex assessore del Comune di Rimini. Ecco il suo intervento:
La vicenda oggetto di questa interessante e fondamentale pronuncia (per i principi di diritto in essa contenuti) ha ad oggetto una vicenda del 2016 ed in particolare la richiesta di annullamento del provvedimento del direttore del settore patrimonio e demanio del Comune di Como con il quale è stata rigettata l’istanza della società concessionaria “di non procedere con la pubblicazione del bando per l’assegnazione in concessione dell’area detenuta” (compendio immobiliare denominato “Lido di Villa Olmo” sul lago di Como per la gestione di uno stabilimento balneare con annesso bar).
La richiesta di annullamento comprendeva anche i successivi provvedimenti “avviso d’asta“, “approvazione avviso d’asta per l’affidamento, “verbale di asta pubblica, ed un ultimo provvedimento con il quale il comune di Como “ha omesso di escludere dall’asta le offerte presentate da altri concorrenti” nonché di ogni atto presupposto, consequenziale e comunque connesso.
Il Tar Lombardia, prima di esaminare le censure avanzate dalla società ricorrente, ha opportunamente delineato il quadro normativo per poter affrontare la controversia.
- 1) L’art. 1, c. 18, d.l. n. 194/2009, come modificato dall’articolo 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2010, n. 25, in sede di conversione e, successivamente, dall’articolo 34-duodecies, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, dall’articolo 1, comma 547, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228 e, da ultimo, dall’articolo 1, comma 291, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147, dispone che: “ferma restando la disciplina relativa all’attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative, ad uso pesca, acquacoltura ed attività produttive ad essa connesse, e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all’articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, [che è soppresso dalla data di entrata in vigore del presente decreto], il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino al 31 dicembre 2020, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. All’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso”.
- 2) Come sappiamo la conformità al diritto comunitario di questa norma è stata oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, disposto dal TAR Lombardia e dal Tar Sardegna n. 224/2015. La Corte, con sentenza del 14 luglio 2016, ha affermato che:
a) l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.
b) l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo. - 3) A seguito della decisione della Corte di Giustizia, il legislatore italiano, con legge n. 160 del 7 agosto 2016, ha introdotto, in sede di conversione al d.l. n. 113/2016, all’art. 24, il comma 3 septies, ai sensi del quale: “nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25”.
- 4) Così delineato il quadro normativo, il TAR Lombardia è entrato nel merito della vicenda specificando che:
A) Beni Demaniali e Beni del Patrimonio Indisponibile dello Stato e Regioni.
«Anche a volere condividere la linea interpretativa prospettata dalla ricorrente, secondo cui la proroga prevista all’art. 1, c. 18, d.l. n. 194/2009 ed all’art. 24, c. 3 septies, d.l. n. 113/2016 debba trovare applicazione con riferimento alle concessioni non solo di beni demaniali ma anche di beni appartenenti al patrimonio indisponibile, queste norme devono essere disapplicate per contrasto con il diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza sopra richiamata».
B) Vincolatività delle sentenze della CGE anche per le pubbliche amministrazioni.
«Non solo: ma anche ribadito un concetto chiaro per gli operatori del diritto ma a volte pericolosamente “sfumato” dai dirigenti degli pubblici territoriali e cioè quello che “per costante giurisprudenza”, al pari di regolamenti e direttive, anche le pronunce della Corte di Giustizia della Comunità europea hanno, difatti, efficacia diretta nell’ordinamento interno degli stati membri, vincolando sia le amministrazioni che i giudici nazionali alla disapplicazione delle norme interne con esse configgenti (Cfr. C. Cost., 19 aprile 1985, n. 113 che ha affermato l’immediata applicabilità delle statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 16 maggio 2016, n. 139)».
C) Concessioni d’uso del bene e concessioni di servizi escluse
«Si è poi soffermato nuovamente sul concetto “di autorizzazioni disponibili” e sulla limitatezza delle stesse per via della scarsità delle risorse naturali, quali sono, in generale, le rive del lago di Como, suscettibili di sfruttamento economico solo in numero limitato, e quale è, in particolare, il compendio in questione, in considerazione delle sue peculiarità (in relazione alla sua ubicazione ed alla sua storia)” .Ha ulteriormente ribadito il concetto di “concessione d’uso del bene” e della categorie “delle concessioni di servizi escluse” dall’ambito di applicazione della direttiva 2006/123 e rientranti in quello della direttiva 2014/23, per le ragioni affermate dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 14 luglio 2016 (l’art. 12, c. 1, della direttiva 2006/123, dispone che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, il rilascio delle autorizzazioni deve essere soggetto ad una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento)».
D) Proroghe Legittimo Affidamento ed Interesse generale.
«Inoltre, la proroga automatica di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacuale non consente di organizzare una procedura di selezione come descritta al punto 49 della presente sentenza (CGE)”. La Corte ha poi affermato che, pur se l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 prevede espressamente che gli Stati membri possano tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni legate a motivi imperativi d’interesse generale, “è previsto che si tenga conto di tali considerazioni solo al momento di stabilire le regole della procedura di selezione dei candidati potenziali e fatto salvo, in particolare, l’articolo 12, paragrafo 1, di tale direttiva.
Pertanto l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva in questione non può essere interpretato nel senso che consente di giustificare una proroga automatica di autorizzazioni allorché, al momento della concessione iniziale delle autorizzazioni suddette, non è stata organizzata alcuna procedura di selezione ai sensi del paragrafo 1 di tale articolo”.
Inoltre, “una giustificazione fondata sul principio della tutela del legittimo affidamento richiede una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti. Una siffatta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione”».
F) Disapplicazione del cosiddetto “Salva-Spiagge”.
Ma la vera novità della sentenza, quella maggiormente impattante, è quella di aver riconosciuto (facile da prevedere per i giuristi) il contrasto con i principi comunitari del cosiddetto emendamento Salva-Spiaggia inserito nell’Agosto scorso nel decreto Enti Locali ( art. 24, c. 3 septies, d.l. n. 113/2016).
«Con tale norma, il legislatore – nel prevedere la conservazione della validità dei rapporti già instaurati e pendenti in base all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 “nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea” – ha, difatti, sostanzialmente reintrodotto un rinnovo automatico delle autorizzazioni concesse, oltretutto senza la previsione di un termine finale certo, che impedisce lo svolgimento di procedure comparative, eludendo così, al pari dell’art. 1, c. 18, d.l. n. 194/2009, il dettato della direttiva 2006/123 e le indicazioni date dalla Corte di Giustizia. Conseguenza di tale palese violazione è la disapplicazione di tale norma con la conseguente «piena legittimità della decisione del Comune di Como di non considerare efficace la concessione in questione e di procedere alla pubblicazione del bando per l’assegnazione del compendio immobiliare».
Come ogni sentenza di primo grado tale pronuncia può essere riformata in appello dal Consiglio di Stato se la parte soccombente riterrà di impugnarla. Quello che in ogni caso convince è l’apparato motivazionale, preciso, puntuale e totalmente in linea con la precedente giurisprudenza di merito e con quella della Corte di Giustizia Europea.
In allegato, il documento integrale della senta del Tar della Lombardia: