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Tar:” le opere abusive sul porto di Rimini vanno demolite”

Il Tar dell’Emilia Romagna  si è espresso con sentenza pubblicata il 25 gennaio 2019 sul primo ricorso contro la revoca della concessione in sanatoria rilasciata dal Comune di Rimini nel 2004. Si tratta per lo più di terrazze realizzate sul retro delle abitazioni di Via Marecchia e con vista sul porto canale e sul Ponte di Tiberio.

Nel 2012 il Comune di Rimini si accorge che la sanatoria rilasciata nel 2004 era in contrasto con la legge che impone delle distanze minime dal fiume e in autotutela revoca le concessioni in sanatoria ed avvia la procedura per la richiesta di demolizione delle opere abusive.

Inevitabile il contenzioso giuridico. I proprietari della terrazza oggetto della revoca fanno ricorso al Tar (avvocati Davide Grassi e Andrea Mussoni), sostenendo che l’attuale  specchio d’acqua del porto canale non è più un fiume, in quanto il Marecchia è stato deviato inoltre anche demolendo le terrazze rimarrebbero nella fascia di rispetto altri manufatti, ovvero una palazzina, il pilone del Ponte dei Mille e le abitazioni su via Bastioni Settentrionali.

Il Tar con la sentenza citata è di diverso avviso. Scrivono i giudici nella sentenza: “non costituisce circostanza rilevante che il sito non sia più interessato dall’alveo del fiume Marecchia. Infatti sull’alveo storico del fiume Marecchia sono stati realizzati il porto canale e l’infrastruttura idraulica per il contenimento delle piene. Trattasi di infrastrutture che richiedono comunque il rispetto assoluto delle distanze di cui all’art. 96 R.D 523/1904 senza che possano essere consentite deroghe. Essendo i manufatti abusivi ubicati a distanza inferiore il condono non poteva essere accolto e dunque correttamente l’amministrazione si è determinata nel senso di annullare l’atto che aveva illegittimamente assentito l’istanza di condono.” L’interesse pubblico perseguito con il provvedimento di autotutela è dato dalla tutela della salute pubblica connessa col corretto regime idraulico che sarebbe compromesso dalla sussistenza di manufatti che, in relazione all’indebita vicinanza alle opere idrauliche, potrebbero indebitamente interferire con il corretto funzionamento delle opere idrauliche. Il perseguimento di tale primario interesse pubblico rende priva di pregio la censura secondo cui vi sarebbero disparità di trattamento rispetto a casi in cui l’istanza di condono sarebbe stata concessa in casi analoghi.”

Sicuramente sarà fatto ricorso al Consiglio di Stato

Il testo della sentenza 

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