Stasera mercoledì 2 agosto, alle ore 21:30 presso la Corte degli Agostiniani, verrà proiettato Sully di Clint Eastwood (Usa, 2016, 95’), pellicola che è stata inserita fra i migliori dieci film dell’anno dall’American Film Institute.
La storia è incentrata sull‘ammaraggio del volo US Airways 1549, avvenuto il 15 gennaio 2009 sul fiume Hudson, liberamente ispirata all’autobiografia Highest Duty: My Search for What Really Matters del pilota Chesley “Sully” Sullenberger, scritta insieme al giornalista Jeffrey Zaslow.
È l’intimità la caratteristica che, più di ogni altra, contraddistingue Sully, sin dal titolo: Eastwood non ha voluto ergere un monumento encomiastico di gelido marmo all’eroe del “miracolo di Hudson”, non ha voluto neppure fermarsi ad una sterile e cronachistica biografia, bensì ha preteso di scavare affondo, nell’uomo prima ancora che nel pilota: in Sully – il suo soprannome, appunto – prima ancora che nel comandante Chesley Sullenberger.
Dopo soli 5 minuti di volo, uno stormo di uccelli – uccelli hitchcockiani potremmo considerarli, per il terrore che avrebbero potuto provocare – impatta violentemente l’Airbus A320, danneggiandone entrambi i motori. Sully tenta allora un disperato ammaraggio sul fiume Hudson, che, incredibilmente, permette di salvare tutti i 155 passeggeri, senza riportare alcuna vittima.
L’opinione pubblica gridò subito al miracolo, e Chesley Sullenberger fu ben presto acclamato come eroe degli Stati Uniti: un Paese che ha sempre sentito il bisogno di sopperire alle proprie mancanze storico-epiche, ma ancor più in quegli anni: gli americani erano ancora in piena crisi economica, dopo la bolla immobiliare del 2007 e il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers nel 2008 – “too big to fail” [“troppo grande per fallire”], dicevano.
Nel tripudio generale viene però insinuato un dubbio: la commissione d’inchiesta dell’ente aeronautico indaga su una presunta infrazione al protocollo di volo, che avrebbe potuto mettere in grave pericolo l’intero equipaggio: probabilmente, infatti, l’aereo avrebbe potuto atterrare in alcuni aeroporti vicini alla zona del guasto, piuttosto che azzardare un simile rischio.
Ecco allora che quei baffi – così virili, così convincenti sul volto dell’ottimo Tom Hanks – di colpo si dimostrano fragili e nudi: all’improvviso inizia ad incrinarsi l’inattaccabile sicurezza della divisa, così certa della propria professionalità, della propria competenza, del proprio coraggio. Il film diventa allora polanskiano, e Sully è combattuto da un senso di colpa che lo attanaglia, ogni giorno di più: è vero? Ha messo a repentaglio la vita di tutte quelle persone per diventare un eroe nazionale? È stata incoscienza la sua? O buona fede? Incompetenza? O, semplicemente, acqua alla gola?
C’è solo un modo per scoprirlo: difendersi con tutte le proprie forze di fronte alla commissione. Convincere tutto il mondo – e quindi anche se stesso – di non essere un mitomane che, per la propria gloria, ha rischiato di fare un strage.
Una strage, già, come quella dell’11 settembre: è questo il fantasma che aleggia nell’inconscio di Sully. Un’immagine che gli americani speravano di non rivedere mai più, un’immagine che proprio lui, il 15 gennaio, ha rischiato di replicare. O no?
Edoardo Bassetti