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Strage di Bologna si cerca ancora la verità. Nuove indagini della Procura di Bologna

Trentasette anni. È trascorsa una vita dalla mattina del 2 agosto 1980, da quella strage alla stazione di Bologna che fu un vero atto di guerra alla città medaglia d’oro per la Resistenza e alla democrazia del nostro Paese.

Trentasette anni durante i quali intere generazioni sono cresciute con l’ossessione del ricordo come forma di giustizia civile. Un ricordo ricostruito attraverso la narrazione di quei giorni fatta dai nonni e dai genitori in una Bologna che non vuole dimenticare. I processi hanno accertato che a mettere l’esplosivo nella sala d’attesa del primo binario furono Francesca Mambro, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini.

Ancora da chiarire  i mandanti e perchè lo fecero.

L’ex Nar Gilberto Cavallini, 64 anni, ergastolano a Terni, è indagato per concorso nella strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980,su di lui, dopo un’archiviazione del 2013, sulla base del dossier presentato nel luglio 2015 dall’Associazione familiari vittime. La Procura di della Repubblica di Bologna ora ha notificato in carcere a Cavallini la chiusura indagini.

L’ipotesi è che l’ex Nar abbia fornito i covi in Veneto dove si sono nascosti i Nar condannati per la strage alla cui preparazione è accusato di aver partecipato anche Cavallini.
Il dossier, che comprende atti di vari processi, fa nomi e cognomi di presunti mandanti, complici e strutture di un’insurrezione armata contro lo Stato. Un filone, che riguarda militari, con l’aggravante dell’Alto tradimento, è stato da tempo trasferito a Roma.

E non si è fatto attendere il commento dell’onorevole Pd, Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage di Bologna. “Speriamo che ora non li fermino – ha dichiarato -. Che li lascino indagare fino in fondo. A Bologna come a Roma. Da membro della Commissione Moro ho visto troppi segnali strani, in 40 anni. Messi insieme danno l’idea che qualcuno è d’accordo nel volere chiudere la partita sugli anni di piombo”.

Due agosto 1980: era sabato, un caldo sabato di esodo. Le code in autostrada dovevano essere, come da ‘copione’ collaudato del periodo, l’argomento del giorno per quotidiani e tg. A meta’ mattina, invece, un’esplosione alla stazione centrale di Bologna spezzo’ nel sangue la tranquilla routine del rito delle vacanze, rigettando il Paese nell’incubo del terrorismo: 85 morti e 200 feriti il bilancio finale della strage piu’ sanguinaria nella storia italiana. Alle 10:25 (l’ora della tragedia rimarra’ impressa, come ricordo incancellabile, nelle lancette ferme del grande orologio che si affaccia sul piazzale della stazione) un boato squarcia l’ala sinistra dell’edificio: la sala d’aspetto di seconda classe, il ristorante, gli uffici del primo piano si trasformano in un cumulo indistinto di macerie e polvere.

Tra le vittime Flavia Casadei, diciotto anni compiuti da poco, frequentava la quarta liceo scientifico a Rimini: aveva ottenuto la borsa di studio ogni anno fin dalle elementari. Quel sabato due agosto stava viaggiando verso Brescia dove l’aspettava uno zio. Flavia era uscita di casa, a Rimini, molto presto e un’ora dopo aveva telefonato ai genitori dalla stazione: “Il treno è in ritardo, avvertite lo zio a Brescia”. Per quel ritardo aveva perso la coincidenza a Bologna e alle 10,25 stava aspettando il treno per Verona.

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