Il 9 novembre 2021 verrà ricordato come un giorno particolare per l’Italia. Una sentenza, in adunata generale del Consiglio di Stato, obbliga a bandi pubblici per le concessioni demaniali turistiche entro due anni.
Una giornata che verrà ricordata anche per un altro motivo. La sconfitta della politica. In 10 anni il Parlamento non è riuscito fare una nuova legge di riordino del demanio marittimo con finalità turistiche in sintonia con l’Europa. Si poteva e doveva fare. Già dieci anni fa era tutto chiaro.
Il 20 maggio 2010 la Corte Costituzionale boccia una legge della regione Emilia Romagna che prorone per un massimo di 20 anni le concessioni di spiaggia a fronte di investimenti nello stabilimento balneare. La motivazione della Consulta: “E’ in contrasto con l’artt. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in tema di libertà di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi.”
La sentenza del Consiglio di Stato del 9 novembre 2021 boccia le proroghe perché sono “in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE”.
Stessa motivazione per due sentenze emesse a distanza di oltre dieci anni.
Dopo quella sentenza della Consulta che riguardava la regione Emilia-Romagna, (e sentenze analoghe hanno bocciato tutte le leggi in mareria di altre regioni costiere italiane) il governo con il ministro Fitto (centrodestra, 2011) propone un testo di legge che recepisce le norme europee con un’attenzione agli attuali concessionari. Si era vicini all’accordo tra governo, regioni e categorie del settore.
Un gruppo di concessionari rifiutò la proposta con lo slogan “fuori le spiagge dalla direttiva Bolkestein”. La legge Fitto si bloccò ed iniziò il veto di qualsiasi proposta di legge, da parte di associazione di balneari e alcune forze politiche. Che accettavano solo proroghe, come quella del 2012 fino al 2020. Vi era anche una delega al governo per approvare una legge di riordino con i criteri da applicare. Delega mai esercitata per le troppe divisioni e veti e poi decaduta nel 2013.
L’obiettivo delle associazioni di categorie (alla fine tutte allineate alla parte più intransigente dei balneari) era mantenere la situazione attuale senza evidenze pubbliche. Concessioni senza scadenza. Per settimane e mesi la lobby dei bagnini interveniva in tutte le occasioni in cui si discuteva di Bolkestein per la spiaggia.
In particolare i concessionari della Versilia erano i più attivi e più “violenti” nel difendere le proprie ragione e nell’insultare chi non la pensava come loro. I partiti del centrodestra si accodarono alle posizioni più oltranziste dei bagnini, alla faccia delle sbandierate politiche liberali.
Nel centrosinistra il Pd tenne ferma la linea di uniformarsi alle norme europee con la presidenza della regione Emilia Romagna di Vasco Errani. Un documento nazionale del Pd nella conferenza sul turismo di Cervia del 2012 proponeva dieci punti per una nuova legge sul demanio in linea con le norme europee, ma con un sostanziale sostegno alle imprese che operavano sulle spiagge.
Invece di accogliere positivamente le proposte del Partito Democratico, il 20 novembre del 2012 si svolge una manifestazione nazionale dei balneari a Bologna davanti alla Regione. L’obiettivo è piegare la “resistenza” dell’unica regione e dell’unica forza politica, il Pd, che si oppone a sostenere proposte inattuabili. Da allora fino al 2015 non succede nulla.
Con la presidenza Bonaccini, nel 2015, cambia anche la linea dell’Emilia Romagna.
Nel 2016 Stefano Bonaccini dichiara: “L’Emilia-Romagna, con le altre regioni costiere è impegnata in un positivo confronto con il Ministro Enrico Costa (governo Renzi) per definire a breve un testo di legge che contenga evidenze pubbliche per le nuove concessioni demaniali e un congruo periodo transitorio, accompagnato dal riconoscimento del valore commerciale dell’impresa, per le attuali concessioni”.
Cambia anche la linea del Pd che si accoda alle posizioni dei balneari. Per quale ragione un partito che si dichiara riformista difenda una lobby di potere che impedisce ogni innovazione ed investimento sugli arenili italiani, ancora oggi non sono in grado di capirlo.
Poi il carnevale delle proposte. Diritto di superfice per 90 anni, distinzione tra arenile e spiaggia con quest’ultima che si poteva privatizzare, uscita dalla Bolkestein, proroga per 50 anni. Tutte idee impraticabili.
Brilla anche l’assenza dell’Anci (associazione dei Comuni) che non prende posizione su nulla.
La sentenza del Consiglio di Stato non lascia spazio a fantasie e ha demolito tutte le tesi portate avanti in questi anni dai balneari e da alcuni partiti per chiedere l’esclusione dalle gare pubbliche:
- la non scarsità di risorsa alla mancanza di interesse transfrontaliero;
- il legittimo affidamento. “Qualora un operatore economico prudente e accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi, egli non può invocare il beneficio della tutela del legittimo affidamento nel caso in cui detto provvedimento venga adottato”
- la non-autoesecutività della direttiva servizi nel 2010.
- l’obbligo di non applicare la legge anticomunitaria da parte dell’apparato amministrativo.
Ora una parte della politica richiede il riconoscimento degli investimenti fatti. Anche in questo caso la sentenza del Consiglio di Stato è chiara. “Una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti”.
Esclusa ogni possibilità del riconoscimento del valore commerciale dell’azienda per la semplice ragione che il Consiglio di Stato vieta qualsiasi aiuto ai concessionari uscenti.
Una partita non semplice, con il rischio chd ne esca una nuova legge in contrasto con le norme europee, con il solo risultato di produrre nuove incertezze per il settore balneare e nuove procedure di infrazione da parte dell’Europa.
Maurizio Melucci