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Spiagge, Consiglio di Stato: “Le opere realizzate sul demanio a fine concessione sono dello Stato”

Il Consiglio di Stato (28 Ottobre 2022, VII Sezione, n. 9328-2022), con una sentenza ricca di interessanti spunti giuridici, tra i quali vanno segnalati quelli in merito alla natura dell’ attività discrezionale della P.A. (tecnica ed amministrativa), sollecitato dalla censura di incostituzionalità avanzata dall’ appellante-ricorrente, è intervenuto nuovamente sull’ applicazione e sull’ interpretazione dell’ art. 49 del Codice della Navigazione: <<salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato>>.

La questione oggetto del contenzioso riguardava la richiesta avanzata dalla Porto di Lavagna S.p.A. per l’annullamento del provvedimento con il quale il Comune di Lavagna, in data 29 settembre 2017, adottava la determinazione di conclusione negativa ai sensi dell’art.14 quater l. n.241/1990 della Conferenza di Servizi indetta per la decisione sulla proroga della concessione demaniale richiesta al fine di realizzare nuovi interventi strutturali sull’area portuale di interesse.

È bene precisare che siamo in ambito di “concessioni demaniali portuali” e la vicenda verte sulla “domanda principale” avanzata dalla società ricorrente che in data 22/4/2013 presentava istanza finalizzata a “prorogare la Concessione sino al 13.07.2049 ovvero al 13.07.2051, […] ai sensi dell’art. 10 del D.p.r. 509/1997”. Tale norma prevede infatti che <<gli atti di concessione in vigore alla data del 1° gennaio 1990 possono essere prorogati, ferma restando ogni altra condizione della concessione, su istanza del concessionario, qualora risulti che questi non abbia potuto realizzare, per fatti a lui non addebitabili, opere o parti sostanziali delle opere previste ovvero qualora si rendano necessari nuovi interventi finalizzati all’adeguamento delle strutture portuali o al mantenimento della loro funzionalità. Il periodo di proroga è determinato dall’autorità concedente tenuto conto dell’entità dell’investimento originario e di quello aggiunto. A tali interventi si applicano le disposizioni di cui all’articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996>>. Non sarà però “la proroga non concessa” l’oggetto dell’odierna disamina in quanto l’ambito del giudizio, come dicevo sopra, è inerente alle “concessioni portuali” e non a quelle “turistico ricreative” e il tema del diritto eurounitario e delle procedure comparative per l’assegnazione delle concessioni viene solo lambito. Non per questo si vuole sminuire la portata del tema anch’ esso delicato, dei “porti e delle darsene”, sia chiaro, ma oggi quello che interessa è l’altro aspetto della pronuncia.

Infatti, “in via subordinata”, la società ricorrente richiedeva l’applicazione alla fattispecie del cosiddetto “indebito arricchimento della pubblica amministrazione” che ha creato in lui un affidamento e, se non concesso, riteneva di sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 49 c. nav. per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost.. In buona sostanza affermava che  in caso di mancato accoglimento della domanda relativa alla proroga ex art. 10, d.p.r. 509 del 1997, la società Porto di Lavagna S.p.A. avrebbe avuto il diritto ad un indennizzo ex art. 2041 c.c. (per indebito arricchimento della P.A. nei suoi confronti) e laddove si ritenesse ostativo al riconoscimento di detto indennizzo l’art. 49 c. nav., quest’ultimo avrebbe dovuto essere portato davanti alla Consulta e dichiarato incostituzionale in relazione agli artt. 3 e 41 della Costituzione “laddove non prevede il diritto del concessionario ad ottenere, alla scadenza del rapporto concessorio, un indennizzo per gli investimenti realizzati sia in adempimento degli obblighi derivanti dall’atto di concessione che indipendentemente da questi ultimi, anche nel caso in cui gli stessi siano stati autorizzati dall’Amministrazione in ragione della loro conformità all’interesse pubblico (art. 54 c. nav.; art. 24 reg. nav. mar.)”.

È la solita litania riproposta sino alla nausea dai concessionari demaniali: “abbiamo investito realizzando opere anche autorizzate dalla P.A. e, alla scadenza della concessione, se dovessero essere incamerate perché giudicate di difficile rimozione, non è giusto che la P.A. (chi per lei) si arricchisca indebitamente dei nostri esborsi economici, e quindi riteniamo incostituzionale la mancanza di indennizzo sancita dall’ art. 49 c. nav. ”.

Il Tar Liguria con sentenza n. 133/2020, rigettava la domanda principale e, quello che è di nostro specifico interesse, oltre a non concedere l’indennizzo richiesto ex art. 2041 c.c., rispediva al mittente le censure di illegittimità costituzionale sollevate da parte ricorrente nei confronti dell’art. 49 c. nav.,  ritenendole infondate in quanto: “la norma non esclude la possibilità per il concessionario di ottenere, con diverse declinazioni, il rimborso o un compenso per le opere non amovibili realizzate sulla zona demaniale, limitandosi a rimettere all’autonomia privata e, quindi, alla contrattazione tra le parti l’inserimento o meno di una specifica pattuizione al riguardo nell’ambito del rapporto concessorio”.

Si tratta, continua il giudice ligure interpretando il dictum dell’ art. 49 c. nav., “a ben vedere di una norma avente carattere “suppletivo” perché interviene, con la disciplina contestata, solo laddove le parti non abbiano concordato diversamente, esclusivamente in tal caso imponendo, quindi, una soluzione che, proprio per la sua residualità, non risulta irragionevole, perché dettata a tutela dell’interesse pubblico senza distingue tra miglioramenti e mere addizioni e valorizzando l’eventuale interesse al mantenimento delle opere senza alcun costo per la P.A. La derogabilità negoziale della disposizione, quindi, rende la stessa pienamente legittima, sicché anche tale motivo di impugnazione deve essere respinto.

Semplice e cristallina la motivazione. Dal momento che il concessionario in sede: a) o di rilascio originario della concessione; b) o di subentro nel rapporto concessorio attivato dal concessionario pre-esistente e suo “dante causa”, non ha concordato con l’ente concedente alcuna modalità di ottenimento di un indennizzo alla scadenza della concessione (è, come abbiamo detto, una facoltà concessa dall’ art. 49 c. nav.), non può per questo reclamare l’incostituzionalità di una norma che impedisce l’ erogazione di un indennizzo, non perentoriamente e inderogabilmente, ma solo nel momento in cui le parti non si sono avvalse della facoltà di concordarlo in sede contrattuale, facoltà che, ripetiamo, la norma prevede esplicitamente. In sintesi: conoscevi cosa prevedeva l’art. 49 c. nav.; non ti sei messo d’accordo con la P.A, prevedendolo in contratto, per il riconoscimento di un qualsivoglia ristoro-indennizzo; hai accettato le condizioni previste in concessione-contratto per l’esercizio dell’ attività imprenditoriale che ti ha fruttato onorevoli guadagni, adesso che sei in scadenza e solo adesso reclami l’ illegittimità della norma perché non ti pagano, come era di tua conoscenza l’opera realizzata ed incamerata dallo Stato. Chiedi anche pure anche un caffè e la chiudiamo lì….verrebbe da dire……

In sede di appello in Consiglio di Stato sono stati riproposti dalla società Porto di Lavagna S.p.A., come motivi di gravame nei confronti delle motivazioni della sentenza di primo grado, le stesse censure avanzate davanti al Tar Liguria contro il provvedimento del Comune di Lavagna, censure che però hanno subito, per motivi in parte uguale ed in parte modificati, la stessa sorte incorsa nel primo giudizio in quanto i giudici di Palazzo Spada hanno confermato la bontà della sentenza genovese respingendo il gravame.

In particolare per quanto riguarda la questione inerente l’art. 49 c. nav., nella parte in cui non prevede la corresponsione di un indennizzo a favore del concessionario che abbia realizzato sul suolo demaniale opere non amovibili, essi puntualizzano che la questione “dell’eccepita illegittimità costituzionale non può essere sollevata per manifesta infondatezza”.

Infatti puntualizzano che: “la scelta, quindi, dell’appellante di subentrare in un rapporto concessorio già precostituito in cui non era prevista la corresponsione di alcun indennizzo per le opere in questione non legittima la censura sull’applicazione di una norma dispositiva non derogata per volontà delle parti. In tal senso, quindi, l’appellante patisce un pregiudizio di fatto non idoneo ad incidere sulla costituzionalità della norma in esame”.

Non solo: a completamento della “ratio decidendi” che sostiene il proprio giudizio, il Consiglio di Stato riprende un ragionamento più volte riscontrato in sentenze analoghe che hanno applicato l’art. 49 c. nav.: “La norma in esame, del resto, nello stabilire l’acquisizione gratuita da parte dello Stato delle opere non amovibili edificate su suolo demaniale dato in concessione – in mancanza di diversa previsione, nel senso sopra specificato, nel titolo – individua il tempo di tale acquisto nel momento in cui “venga a cessare la concessione” senza ulteriori precisazioni in relazione alle relative cause, ed esprime un principio di ordine generale (cfr. Cons. Stato n. 5123 del 2012), in base al quale le opere costruite sull’area demaniale vengono acquisite ipso iure: il successivo atto amministrativo, di “incameramento” o altro equivalente, ha, infatti, natura meramente ricognitiva ed non è assolutamente necessario affinché l’Amministrazione possa essere considerata titolare delle opere stesse”.

“Il mugnaio di Potsdam” anche questa volta può dormire sonni tranquilli.

Avvocato Roberto Biagini   Presidente CoNaMaL

La sentenza del Consiglio di Stato

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