Altro tema complementare all’indennizzo, evocato spesso dai concessionari balneari per avallare le loro ragioni, è quello del cosiddetto “legittimo affidamento” che essi ritengono essere entrato a pieno titolo nel loro patrimonio giuridico per via delle normative nazionali e regionali che si sono succedute negli anni.
In buona sostanza essi sostengono che, prima con il “diritto di insistenza e con i rinnovi automatici”, successivamente, dopo la loro abrogazione rispettivamente nel 2009 e 2010, con le continue e reiterate proroghe concesse alle scadenze delle concessioni (2012-2015-2020-2033) lo Stato, le Regioni (o addirittura i Comuni che ha apposto i “timbri ricognitori” di pagamento della tassa di registro per gli anni di proroga), hanno creato loro una sorta di aspettativa di durata “sine die” dei titoli concessori sui quali hanno sempre confidato per effettuare investimenti aziendali. La logica conseguenza di questo dato di fatto, a loro modo di vedere, è che nell’eventualità di perdita della concessione demaniale a vantaggio di un altro soggetto, essi ne rivendicano il ristoro in forma di indennizzo a carico del concessionario subentrante.
Delle proroghe abbiamo già parlato abbondantemente: vediamo ora cosa si intende per “diritto d’ insistenza” e per “rinnovo automatico”, i due istituti giuridici che, almeno fino al tempo di loro vigenza e prima della “farsa” tutta italiana delle proroghe, fungevano da presupposto logico, da fonte legittimante l’“affidamento” che rivendicano i concessionari balneari.
Prima dell’entrata in vigore della Direttiva Bolkestein, la disciplina nazionale prevedeva un particolare favor nei confronti dei soggetti già titolari di concessione demaniali in quanto l’ art. 37, comma 2 del codice della navigazione, così come modificato dalla legge 494 del 1993 di conversione del D.L. 400-93, introduceva il diritto di insistenza e cioè di preferenza accordata ai titolari di concessione in sede di rinnovo a discapito di coloro che proponevano per la prima volta una nuova istanza. Accanto alla operatività di tale istituto l’assetto normativo precedente contemplava anche un regime di rinnovo automatico del titolo concessorio di 6 anni in 6 anni che (Legge 88-2001) che protraeva, appunto, sine die la durata delle concessioni impedendo l’accesso ai nuovi operatori.
Alla luce di ciò, il ragionamento in capo a “balneari”, più o meno risulta essere questo: prima con il diritto di insistenza, poi con i rinnovi automatici e poi ancora con le reiterate proroghe ci è stato creato “un affidamento” sul quale abbiamo fatto conto investendo e creando indotto; adesso, visto che in sede di pubbliche evidenze potremmo anche perdere la concessione per l’utilizzo dell’area demaniale, se dovesse realmente capitare, il subentrante è obbligato ad indennizzarci.
Ammesso che il ragionamento possa essere valido ed in parte, vedremo come, lo è sicuramente, già una prima stonatura risulta palese: se l’ affidamento è stato creato dalla Pubblica Amministrazione e cioè da Stato, Regione o Comuni con propri provvedimenti legislativi e/o amministrativi, perché l’indennizzo per la lesione del “legittimo affidamento”, se e come provato, deve essere imputato all’aspirante concessionario il quale non chiede altro che partecipare ad una gara in concorso con altri e nella quale presenterà al Comune concedente un progetto di “stabilimento balenare” da creare ex novo su una zona demaniale, su una spiaggia di proprietà dello Stato liberata da tutto quello che c’è sopra?
Altra domanda: ma ammesso che vi sia (e, come dicevo, a determinate condizioni, può sussistere) un “affidamento” radicato in capo a chi ha gestito per anni uno stabilimento balenare, come e da quando esso può fregiarsi dell’attributo “legittimo”, cioè conforme al diritto ?
Dal momento che “la politica” non è mai stata legittimata a rispondere a tali domande per abbozzare soluzioni al problema, per il semplice motivo che è stata proprio “la politica” prima ad averlo creato, per poi radicalizzarlo scegliendo volutamente di “non decidere” prorogando, ancora una volta la funzione supplettiva della giurisprudenza comunitaria, costituzionale ed amministrativa ha contribuito a fornire indicazioni chiare per rispondere a tali interrogativi. E per fornire le linee guida al legislatore, che ci si auspica vengano seguite. E ciò a riprova di come la giurisprudenza sia molto spesso più conforme ai tempi rispetto, appunto, al legislatore ordinario.
Giurisprudenza Comunitaria.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C.G.U.E.), nella nota sentenza Promoimpresa e Melis del 14 Luglio 2016 ha rammentato che la direttiva Bolkestein “consente agli Stati membri di tener conto, nella predisposizione delle procedure selettive, di motivi imperativi di interesse generale”, come gli obiettivi di politica sociale o di tutela dell’ambiente, e lascia, dunque, un ampio margine di intervento ai legislatori nazionali. Significando che “la certezza del diritto” possa rientrare in tali principi, essa ha disposto che ben può il legislatore nazionale, in sede di gara, consentire ai concessionari di ammortizzare i loro investimenti, prevedendo singole proroghe (non generalizzate, ma valutate caso per caso), purché necessarie e proporzionate. In tal senso, essa ha affermato “che il principio della certezza del diritto, nel caso di una concessione attribuita nel 1984, quando non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza, esige che la risoluzione di siffatta concessione sia corredata di un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico”.
In buona sostanza la C.G.U.E. ha semplicemente affermato che per le concessioni risalenti nel tempo è palese che nel concessionario si fosse radicato “un affidamento” che possa legittimarlo, in caso di cessazione del rapporto, ad esigere condizioni accettabili che la Corte di Giustizia individua, però, “nella possibilità di una singola proroga per il tempo accettabile a completare l’ammortamento di quanto investito”. Della serie: “concessionario balneare”, nel momento in cui dimostri di non aver ancora compiuto l’ammortamento dell’investimento (magari comparando anche… l’entità dei canoni corrisposti con i ricavi aziendali…), hai diritto ad una singola prosecuzione del rapporto sino a tale termine. Messaggio chiaro: per adesso non vai in gara. Compiuto l’ammortamento, liberi la spiaggia e se vuoi partecipi alla pubblica evidenza, se e quando il Comune deciderà discrezionalmente di indirla.
Essa allo stesso tempo individua anche l’arco temporale affinché l’affidamento possa essere considerato “legittimo”. Infatti esplicitamente specifica che: “Tuttavia le concessioni di cui ai procedimenti principali sono state attribuite (anni 2000) quando già era stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo dovevano essere soggetti a obblighi di trasparenza, cosicché il principio della certezza del diritto non può essere invocato per giustificare una disparità di trattamento vietata in forza dell’articolo 49 TFUE”.
Nel caso sottoposto al suo esame dai Tar Lombardia e Sardegna, la C.G.U.E. afferma semplicemente questo: dal momento che le due concessioni di cui trattasi sono state rilasciate negli anni 2000 quando già si era a conoscenza che i contratti concessori fornivano al prestatore concessionario ingenti situazioni di guadagno (“interesse transfrontaliero certo”) e nonostante ciò esse non sono state rilasciate con metodo comparativo (“trasparenza”), non si può in questo caso parlare di “legittimo affidamento” del concessionario.
Ma allora il “diritto di insistenza”, il “rinnovo automatico” e le “proroghe” previste dopo l’abolizione dei due istituti avvenuta rispettivamente nel 2009 e nel 2010 proprio per mitigarne gli effetti, che incidenza hanno prodotto (e fino a quando) sul legittimo affidamento dei concessionari?
Giurisprudenza Amministrativa
La giustizia amministrativa, con la sentenza del Consiglio di Stato del 18 Novembre 2019 n. 7874, la quale ricordiamo ha affondato le disposizioni della “legge Centinaio” dichiarando non conforme al diritto eurounitario la proroga in essa prevista la 31.12.2033 e ha confermato l’obbligo, non solo per i giudici, ma anche per tutte le pubbliche amministrazioni concedenti di disapplicare le norme nazionali contrastanti con il diritto eurounitario, ha abbozzato una sua risposta. In tale pronuncia i giudici di Palazzo Spada in merito al concetto di “buona fede del concessionario” spostano il riferimento temporale “dell’affidamento legittimo” un po’ più avanti cronologicamente nel tempo rispetto al momento prospettato dalla C.G.U.E. in quanto ritengono che le proroghe successive all’attuazione della direttiva Bolkestein avvenuta con il D.lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, «non possano essere assistite dal principio della “buona fede” del concessionario, essendosi consumata la possibilità di aderire alla posizione “mitigativa” già a far data dal secondo rinnovo».
In buona sostanza, i giudici di Palazzo Spada, richiamando la sentenza “Promoimpresa”, hanno messo in relazione il legittimo affidamento del “concessionario” (creato dal diritto di insistenza e dai rinnovi automatici) con il termine di recepimento della Direttiva Bolkestein (scadenza del termine 28.12.2009; recepimento 26.03.2010), facendone derivare la conformità al diritto dell’ unione europea delle proroghe antecedenti a tale data, ritenendo, invece, che quelle successive non possano essere assistite dal principio “della buona fede del concessionario” (paragrafo n. 12 Sentenza n. 7874-2019).
In applicazione di tali principi il Tar Veneto (n. 218-2020) ritenendo non sussistere un “legittimo affidamento” alla richiesta di un concessionario al rinnovo automatico di una concessione sorta nel 2007 e in scadenza nel 2019, vista la sentenza della C.G.U.E. “Promoimpresa” del 2016 e appunto il Consiglio di Stato 7874-2019, ha affermato che «la concessione ha avuto una durata sufficientemente estesa (dodici anni) per consentire l’ammortizzazione degli investimenti iniziali. Mentre devono ritenersi irrilevanti eventuali investimenti realizzati dalla concessionaria in tempi più recenti, atteso che – per le ragioni sopra dette – la stessa non poteva più vantare un legittimo affidamento alla proroga automatica della propria concessione». Quindi, per gli investimenti inziali (2007) in periodo di “legittimo affidamento”, ante recepimento Bolkestein nel nostro ordinamento (2010), il concessionario ha avuto 12 anni di tempo per ammortizzarli; quelli più recenti, successivi al 2010, non sono riconosciuti perché non coperti “dall’affidamento legittimo”.
Ancora più preciso il TAR Abruzzo -Sez. Pescara– n. 40-2021 il quale richiede anche la “prova dettagliata del mancato ammortamento dell’investimento di cui si chiede l’indennizzo” specificando in modo significativo che comunque “non può apparire ragionevole e dunque meritevole di tutela confidare nell’uso esclusivo e sine die di un bene demaniale di interesse economico e di uso pubblico come una spiaggia, che viceversa perderebbe proprio tale sua irrinunciabile destinazione pubblicistica”.
Giurisprudenza Corte Costituzionale
Ultimo accenno alla posizione della Consulta che intervenendo sul concetto generale di “affidamento legittimo” con la sentenza n. 56 del 2015 afferma che: “Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova sì copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., ma non già in termini assoluti e inderogabili. Per un verso, infatti, la posizione giuridica che dà luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento.
In materia specifica di concessioni demaniali è invece da segnalare la sentenza apripista delle dichiarazioni di incostituzionalità delle leggi regionali che sono intervenuti in modo improprio sulle proroghe e/o in materia di indennizzi. Con la sentenza n.180-2020 la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1 della legge reg. E. Romagna, n. 8 del 2009, in quanto concedeva la possibilità ai concessionari di richiedere proroghe ventennali subordinate a programmi di investimenti.
Oltre a parlare di “compressione dell’ assetto concorrenziale” della norma impugnata, essa è intervenuta sul tema dell’affidamento, in quanto la difesa della Regione riteneva che non ci sarebbe stata “violazione del principio di libertà di concorrenza, in quanto la norma impugnata sarebbe preordinata a tutelare il principio dell’affidamento e le legittime aspettative dei concessionari, in ragione dei loro obiettivi di miglioramento delle infrastrutture serventi il bene demaniale in concessione”. Precisa, puntuale, incontestabile la replica dei giudici di piazza del Quirinale: “Questo argomento, però, avrebbe un senso solo se – per ipotesi – la norma impugnata avesse lo scopo di ripristinare la durata originaria della concessione, neutralizzando gli effetti di una precedente norma che, sempre per ipotesi, avesse arbitrariamente ridotto la durata della stessa. Nel caso all’odierno esame, invece, si tratta della proroga di una concessione già scaduta, e pertanto non vi è alcun affidamento da tutelare con riguardo alla esigenza di disporre del tempo necessario all’ammortamento delle spese sostenute per ottenere la concessione, perché al momento del rilascio della medesima il concessionario già conosceva l’arco temporale sul quale poteva contare per ammortizzare gli investimenti, e su di esso ha potuto fare affidamento”.
Stando così le cose, il legislatore futuro è… avvertito.
Roberto Biagini
Presidente CO.NA.MA.L. Coordinamento Nazionale Mare Libero