Un tema ricorrente che puntualmente compare nelle stizzite giaculatorie di replica dei concessionari balneari ogniqualvolta escono sentenze, atti, provvedimenti (come la recente messa in mora da parte della U.E. all’ Italia del 3 Dicembre), che ricordano che la spiaggia, il demanio marittimo non è “cosa loro” ma è un bene della collettività a cui tutti hanno il diritto di aspirare, è quello legato al principio del “cosiddetto legittimo affidamento” e del consequenziale “diritto di indennizzo”.
Essi ritengono tali principi come dei dogmi ormai parti integranti, inalienabili ed abbondantemente acquisiti da generazioni, del loro patrimonio giuridico (ed economico) e che attingono la propria fonte legittimante nell’ utilizzo dell’arenile protrattosi per lustri. Una sorta di diritto naturale di matrice giusnaturalista che, a dir loro, in tempi moderni e in modo generalizzante risulta confermato anche dalla sentenza della Sezione V della Corte di Giustizia U.E. (C.G.U.E.) del 14 Luglio 2016 (C. 458-14 C. 67-15). Ricordate la litania “lo dice anche la sentenza della Corte di Giustizia” ?
Bene, ritorniamo ad esaminare brevemente la pronuncia della C.G.U.E., ormai denominata in termini rievocatori, visti il mese ed il giorno di pubblicazione, sentenza della “presa della battigia”, soffermandoci in particolare sull’ impatto storico che essa ha avuto in materia, una sorta di delimitazione tra l’evo antico e moderno in tema di regole che devono sovrintendere la materia delle procedure di assegnazione delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo.
Vediamo cosa dice sul punto la sentenza della Corte Lussemburghese e come è stata interpretata, non certamente sotto gli ombrelloni e sui lettini, ma nelle aule di giustizia nel momento in cui si sono dovute affrontare le controversie vertenti le concessioni demaniali.
Il Governo italiano e i ricorrenti (Promoimpresa, Melis ed altri) alla C.G.U.E. sostenevano (paragrafo 52 delle motivazioni) che “la proroga automatica delle autorizzazioni è necessaria al fine di tutelare il legittimo affidamento dei titolari di tali autorizzazioni, in quanto consente di ammortizzare gli investimenti da loro effettuati”.
Chiarissima la risposta della C.G.U.E. nei successivi paragrafi:
- gli stati membri possono tener conto “di considerazioni legate a motivi imperativi d’interesse generale” (paragrafo 53 delle motivazioni) ma solo “al momento dello stabilire le regole della procedura di selezione dei candidati potenziali…….” (paragrafo 54 delle motivazioni). Della serie: io Stato italiano potrò eventualmente prendere in considerazione questi “motivi di interesse generale” che voi “balneari” mi sollevate, ma solo in tempi e in un conteso di gara indetta, non prima.
- l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 (Bolkestein) “non può essere interpretato nel senso che consente di giustificare una proroga automatica di autorizzazioni allorché, al momento della concessione iniziale delle autorizzazioni suddette, non è stata organizzata alcuna procedura di selezione ai sensi del paragrafo 1” (paragrafo 55 delle motivazioni). Quindi: io Stato italiano, vista l’interpretazione autentica della Bolkestein fornita dalla Corte, avrei potuto attuare una proroga “generalizzata” casomai avessi in passato attribuito le concessioni tramite regolare gara. Non avendolo fatto non ho giustificazioni per prorogare in modo generalizzato.
- la tutela del legittimo affidamento “richiede una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti (paragrafo 56 delle motivazioni). Semplice: tu concessionario mi dimostri, caso per caso, che qualcuno, Comune, Stato Regione, ti ha creato un’aspettativa di rinnovo della concessione, che hai effettuato di conseguenza degli investimenti ed io valuto se può parlarsi, in quello specifico caso, di “legittimo affidamento” creato.
La sentenza si esprime ancora più chiaramente in risposta alla motivazione fornita dal Governo italiano di tutelare, con le proroghe, la certezza del dritto in materia e la possibilità di ammortizzare gli investimenti. La risposta della C.G.U.E. è categorica e non lascia dubbi ai maldestri tentativi di interpretazioni balnearmente orientati.
La Corte spiega, ottimamente, che la tutela del principio della certezza del diritto, esige “nel caso di una concessione attribuita nel 1984, quando non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza, che la risoluzione di siffatta concessione sia corredata di un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico“ (paragrafo 72 delle motivazioni).
Quindi, dice la Corte, se hai ottenuto una concessione nel 1984 (quando ancora non si parlava di interesse transfrontaliero certo, obblighi di trasparenza ecc..) ed hai nel tempo effettuato degli investimenti, è giusto vedere quanto hai speso, se hai ammortizzato nel tempo i costi, ed eventualmente, pezze giustificative alla mano, riconoscerti un diritto economicamente rilevante proporzionato all’ affidamento creato (che potrebbe consistere anche, in quello specifico caso, l’ allungamento della concessione).
Tuttavia, continua la Corte di Giustizia, frenando sul nascere gli entusiasmi “le concessioni di cui ai procedimenti principali sono state attribuite quando già era stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo dovevano essere soggetti a obblighi di trasparenza, cosicché il principio della certezza del diritto non può essere invocato per giustificare una disparità di trattamento vietata in forza dell’articolo 49 TFUE”.
Siccome le due concessioni sono state rilasciate rispettivamente nel 2004 e 2006 per la C.G.U.E., già in tale epoca (addirittura ante Bolkestein) si sarebbero dovuti applicare gli obblighi di trasparenza e di procedure selettive. Quindi nessun “legittimo affidamento e nessun indennizzo” avrebbero eventualmente maturato i ricorrenti.
Ricordo, poi, che il Consiglio di Stato (Sentenza del 18/11/2019 n. 07874) in merito al concetto di “buona fede del concessionario sposta il riferimento temporale “dell’ affidamento legittimo” un po’ più avanti cronologicamente rispetto quello della C.G.U.E. in quanto ritiene che le proroghe successive all’ attuazione della direttiva Bolkestein avvenuta con il D.lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, << non possano essere assistite dal principio della “buona fede” del concessionario, essendosi consumata la possibilità di aderire alla posizione “mitigativa” già a far data dal secondo rinnovo >> In buona sostanza, la “buona fede da valutare caso per caso”, per i giudici di Palazzo Spada, si poteva far valere solo in costanza della proroga al 31.12.2015 (“ho effettuato degli investimenti documentati nel 2010 in quanto confidavo in buona fede alla proroga fino al 31.12.2015, perché l’art. 1, comma 18 del DL 194 del 2009 mi ha concesso tale possibilità. Dopo il 26 Marzo 2010, non sono più in buona fede e quindi non posso avvalermi dell’estensione prima al 2020 e poi al 2033” in quanto sono a conoscenza del recepimento della Direttiva Bolkestein “).
Quindi, ben venga, come chiedono i rappresentanti di categoria delle associazioni dei balneari, ad esempio per Rimini Mauro Vanni, alla luce della recente messa in mora del 4 Dicembre, l’applicazione dei principi del “legittimo affidamento”, del “diritto di indennizzo” e della certezza del diritto, ma secondo la corretta interpretazione fornita dalla giurisprudenza e non secondo quella ad usum delphini e un tanto al chilo proveniente dai balneari e da tutte quelle forze politiche appiattite sulle loro posizioni.
Un’ ultima considerazione sul tema del pagamento di un indennizzo in favore del concessionario uscente e a carico, eventualmente, di chi subentra. Ricordo che la recente sentenza della Corte Costituzionale del 23 Ottobre 2020 n. 222, riprendendo i principi già espressi con le sentenze n. 109-2018 e 157-2017, intervenuta sulle prescrizioni che la Regione Veneto avrebbe voluto imporre in tema “di indennizzi” a favore dei concessionari uscenti e a carico di quelli subentranti, ribadisce, oltre all’ impossibilità categorica per le Regioni di legiferare in materia di concorrenza, il divieto di “accordare vantaggi al prestatore uscente”. Perché questo? Perché tale meccanismo, all’evidenza, “influisce sulle possibilità di accesso al mercato di riferimento e sulla uniforme regolamentazione dello stesso, potendo costituire, per le imprese diverse dal concessionario uscente, un disincentivo alla partecipazione al concorso che porta all’affidamento”.
Quindi nessun vantaggio “all’ uscente” in sede di pubbliche evidenze e tutti insieme alla linea di partenza.
Roberto Biagini